Pestato a sangue e poi sbattuto in carcere per aver difeso la dignità sua e dei suoi cani. Cadice. E’ il 7 ottobre 2007 e per le strade della cittadina spagnola si sta svolgendo una manifestazione animalista in cui si chiede a gran voce la chiusura di un canile lager. Al corteo prendono parte, assieme ad altre 2000 persone, anche una coppia di italiani, Simone e Jo. Anche loro protestano contro la giunta del sindaco Teófila Martínez Saoz, primo cittadino da 15 anni. Sono adirati Jo Fiori e Simone Righi: un mese prima, il 13 settembre, hanno lasciato i loro tre cani, Holly, Vito e Maggie in custodia presso una pensione per animali privata, l’Associazione Animalista di Puerto Real consigliata loro dai vigili urbani locali, anche perché convenzionata con 15 comuni tra cui quello di Cadice.
Al momento del ritiro che avviene quattro giorni dopo, però non trovano i cani: il cadavere di Holly viene rinvenuto in un congelatore assieme a quelli di altri cani. Vito e Maggie invece sono già stati bruciati. Il veterinario e il personale del canile sono fuggiti. Simone chiama la polizia e denuncia i responsabili del canile lager, che si scopre, è già oggetto di precedenti indagini, per “omicidio volontario continuato” di altri cani.
La manifestazione si svolge in maniera pacifica, c’è speranza ed euforia tra la folla, anche perché in quello stesso giorno ricorre la festa del patrono di Cadice. Anche il sindaco si trova in città per partecipare alla messa celebrativa in onore della Madonna del Rosario. Improvvisamente il corteo si muove nella sua direzione, Simone Righi si ritrova a pochi passi dalle autorità, tenta di avvicinarsi al sindaco per esprimere tutta la propria indignazione, mostrando le foto dei suoi cani uccisi senza una ragione. Non riesce nemmeno a superare la distanza di sicurezza – come si vede dagli innumerevoli video che circolano su YouTube -, eppure la polizia individua i due italiani tra la folla, e preleva con forza Simone. Jo grazie all’aiuto dei manifestanti riesce a rimanere indietro.
Il ragazzo viene scaraventato a terra in un vicolo, trattenuto e picchiato da sei agenti in divisa e in borghese. Sono facilmente visionabili le foto e i filmati che riprendono la scena del pestaggio e il trasporto di Simone verso la questura, sanguinante, contuso e ammanettato. Il giovane verrà accusato di attentato, aggressione al sindaco e resistenza a pubblico ufficiale. Resta in carcere per tre giorni in isolamento e in stato di detenzione preventiva per due mesi. Grazie alla mobilitazione generale e al pagamento di 3 mila euro di cauzione, Simone esce dal carcere il 7 dicembre 2007, con ritiro del passaporto.
Il processo si è aperto il 24 gennaio 2011; dall’iniziale spropositata richiesta dell’accusa di una pena di dieci anni, il primo processo si è concluso con un’incriminazione per attentato all’autorità, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni volontarie, una sentenza di 5 anni di carcere e una sostanziosa multa. Il 7 febbraio 2011 il deputato Franco Narducci (Pd), vicepresidente della commissione Affari esteri della Camera, invia una interrogazione parlamentare rivolta in particolare al ministro Frattini, in cui evidenzia una chiara disparità di trattamento tra accusa e difesa, “per cui le testimonianze a discarico dell’imputato non avrebbero avuto lo stesso peso di quelle a carico dello stesso” ricordando che “così come prevede il nostro ordinamento, il principio di parità tra accusa e difesa è un principio cardine dell’ordinamento giuridico spagnolo” e sottolinea l’apparente mancanza di solide prove a conferma delle accuse.
Ma il ministro risponde in modo estremamente vago e fin troppo diplomatico. Simone Righi ha bisogno di ben più incisivo aiuto, politico per l’esattezza, poiché politica è la sentenza che lo condanna a 5 anni di detenzione, in quanto emessa senza la reale presenza di prove inconfutabili a suo carico e senza aver tenuto conto di tutte le prove incontrovertibili che lo scagionano. Prove ben visibili sul web a livello internazionale. Una seconda interrogazione parlamentare europea è stata inoltrata l’11 febbraio dal deputato Raúl Romeva i Rueda (Iniciativa per Catalunya Verds), al Parlamento e alla Commissione europea di Controllo, sollevando dubbi sull’equità del processo svolto e sottolineando le incongruenze della tesi accusatoria e della deposizione stessa del sindaco. Ricordando gli articoli 48 e 49 della nostra Carta dei Diritti Fondamentali, chiede apertamente al Parlamento se lo Stato spagnolo non stia incorrendo nella violazione della libertà di un cittadino europeo, dando vita a un processo alle intenzioni mosso fondamentalmente da pressioni politiche. Intanto il 22 febbraio scorso si è svolto in piazza Montecitorio il sit-in per sensibilizzare il governo e il Parlamento alla vicenda di Simone Righi, chiedendo un segnale forte e una decisa presa di posizione, assistenza e tutela giuridica come spetta a ogni cittadino italiano in difficoltà.
*Foto di Federica Simeoli