Il Pd è “in una fase perinatale ed è esposto alle intemperie”. Pier Luigi Bersani ammette le difficoltà. E riconosce che il Pd non è ancora un partito. Stenta a diventarlo, non trova una strada ed è in confusione. Questa la sintesi degli interventi della due giorni di incontro con gli amministratori locali andati in scena a Milano. Due giorni in cui il segretario si è riproposto alla Lega come alternativa a Silvio Berlusconi “per realizzare il federalismo”, per poi però attaccare il Carroccio sui risultati. “Da quando la Lega è al governo i Comuni non sono mai stati messi peggio”, dice. E anche questo “federalismo è fatto malamente, non sta insieme”. Tanto che alcuni dei presenti se lo chiedono: ma quale è la posizione vera? E le parole di Sergio Chiamparino, che in un fuori onda radiofonico ha detto che il Pd non ha futuro, aleggiano tra i presenti. Persino il sindaco di Bari, il simpatizzante dei rottamatori Michele Emiliano pubblicamente non se la sente di difendere “l’amico Sergio” e gli suggerisce però di “decidersi”. Per poi riconoscere che è “il momento di smetterla di tentare di ricostruire i Ds o il Pci”.
Chiamparino non si presenta, così come Matteo Renzi. “Ed è un bene”, ammette uno dei dirigenti lombardi. Così le critiche sono minime. Il sindaco di Torino corregge il tiro via agenzie di stampa. “Ho sbagliato ieri a fare quella battuta sul Pd, questo è un tema troppo serio per essere sviluppato con una battuta” e il capitolo sembra chiuso. Bersani prova ad andare oltre. “Io sono di avviso totalmente diverso”, ovviamente il Pd per lui ha un futuro. Poi durante il suo intervento si comprende che in realtà il partito non può morire perché ancora deve nascere.
Agli amministratori locali, infatti, il segretario dice che “se vogliamo diventare un partito dobbiamo cominciare a lavorare, impegnarci partendo da dove siamo presenti sul territorio”. L’intenzione è di fare in modo che “gli amministratori siano presenti nella costruzione del partito e nella selezione della classe dirigente”. E così al termine dei due giorni, Bersani incassa la fiducia dei presenti. Sergio D’Antoni nel suo intervento lo difende, definendolo il “segretario di tutti noi”, Emiliano invita i presenti “a provare a dargli una mano” e Fassino lo ringrazia per il sostegno alla candidatura a sindaco di Torino. In tutto questo rimane il dubbio: “Se vogliamo diventare un partito”.
L’incertezza la esprimono in molti. Al termine dei lavori Emiliano riconosce che “il Pd a parole funziona bene, poi nei fatti servirebbe sempre un grillo parlante a ricordare ai dirigenti che le promesse e gli impegni presi vanno mantenute e realizzati”. L’ex ministro Paolo Gentiloni si dice in parte d’accordo con Chiamparino. “Lasua sarà stata una battuta ma ha un fondo di verità, occorre più coraggio; serve cambiare la rotta e avere il coraggio di farlo”.
A vederli sfilare, questi sindaci e amministratori provenienti da ogni parte d’Italia, sembrano andar via come erano arrivati. Con le stesse domande, gli stessi dubbi. Non un intervento è stato incisivo. Sembra che ognuno abbia parlato da solo. E la colonna sonora finale, con Neffa che canta “non essere triste il sole tornerà” ha fotografato alla perfezione lo stato d’animo di molti.
Ps: “Con questa classe dirigente non vinceremo mai”. Nanni Moretti parlava dell’Ulivo. Era il 2002, piazza Navona. Fassino era lì. Sono passati quasi dieci anni. Il nome del partito è cambiato una infinità di volte, la classe dirigente è sempre la stessa e le parole di Moretti sembrano sempre (purtroppo) attuali.