Se prima era questione di settimane, ora è di ore: Gianni Riotta se ne sta andando dalla direzione del Sole 24 Ore. La notizia filtra alle agenzie di stampa nel pomeriggio di ieri, lui smentisce con una nota: “Smentisco nettamente di essermi dimesso dalla direzione del Sole 24 Ore”. Da quando è stato sfiduciato il 4 di febbraio in un referendum tra i giornalisti del quotidiano – i “No” superarono quota 70 per cento – sembra che ci sia soltanto una cosa che trattiene Riotta sulla poltrona più alta del giornale della Confindustria: il negoziato sulla buonuscita. Gli avvocati sarebbero al lavoro, nei corridoi del palazzo di viale Monterosa, a Milano, si sussurrano cifre a sei zeri, uno o due milioni di euro.

Il destino si decide martedì in cda
Si vedrà presto se sono esagerate: martedì si riunisce il consiglio di amministrazione della società editrice e in quella occasione potrebbe definirsi una volta per tutte il destino di Riotta. Anche se nulla è sicuro, visto che più volte negli ultimi mesi è stato dato per spacciato salvandosi all’ultimo minuto. Quel che è certo è che gli equilibri sono ormai da tempo compromessi. Non soltanto tra direttore e redazione, ma anche con l’editore: il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha scaricato Riotta da tempo e in un recente cda era pronta a cacciarlo, ma Riotta ha dimostrato una certa abilità diplomatica tentando un’operazione spregiudicata. Da direttore “marcegagliano” è diventato direttore d’opposizione, cercando sostegni in quella parte di Confindustria che rappresenta l’alternativa alla Marcegaglia, cioè il gruppo coalizzato attorno a Luca Cordero di Montezemolo, da Aurelio Regina a Luigi Abete, che nel quotidiano potrebbe contare, secondo alcuni redattori, sulla sponda del vicedirettore Alessandro Plateroti. È chiaro che l’equilibrismo di Riotta non era destinato a durare e adesso, assieme a lui, potrebbe saltare anche l’amministratore delegato del gruppo, Donatella Treu. Perché la gestione Riotta non ha lasciato cicatrici soltanto nella redazione, ma anche e soprattutto nei conti. L’ex macchina da soldi di carta è diventata una fonte di perdite per l’associazione degli industriali.

Il bilancio della sua gestione
Ha fatto parecchio rumore, a gennaio, la lettera ai colleghi del giornalista del Sole Nicola Borzi in cui si faceva un primo bilancio della gestione Riotta: 54 mila copie in meno in edicola in sedici mesi, una riduzione degli abbonamenti di quasi il 30 per cento. E il gruppo, nei primi nove mesi del 2010, aveva perso 25 milioni di euro. Il direttore non è riuscito neppure a imporre la rivoluzione del formato tabloid, un Sole 24 Ore più piccolo e più maneggevole che però avrebbe determinato un crollo degli introiti pubblicitari non sostenibile. Il progetto simbolo della sua gestione è stato affondato dalla stessa Marcegaglia. Nelle ultime settimane, poi, Riotta ha peggiorato la sua posizione: prima un editoriale troppo critico sulla piazza delle donne che ha fatto imbufalire le redattrici del giornale, poi le gaffe storiche sul Risorgimento e non solo (Riotta in persona ha confuso la Libia con la Somalia), “il giornale è allo sbando”, dicono dalla redazione.

In questi giorni convulsi tutti pensano già al dopo. Riotta, assieme alla consistente buonuscita, cerca di ottenere un paracadute che sembra essere un trasferimento a New York, dove è già stato per il Corriere della Sera. Un buen retiro che gli evita lo stigma del fallimento e che lo mette al riparo dalle ire dei suoi redattori, già pronti alla rivolta se il trasferimento americano sarà concesso. Per la guida del giornale le uniche alternative sembrano interne: il favorito resta Fabio Tamburini, direttore di Radio 24 e Radiocor (le costole minori del gruppo), ma si fa il nome anche del vice di Riotta Edoardo De Biasi. La Marcegaglia è troppo vicina all’inizio del semestre bianco, l’ultimo sel suo mandato in cui si limiterà a preparare la successione, per imporre un candidato forte. L’unico scenario alternativo è che i montezemoliani anticipino la presa di potere e al cda di martedì riescano a incassare la nomina di Roberto Napoletano, al momento direttore del Messaggero. Comunque vada, il governo non è preoccupato: nel 2009, quando venne scelto Riotta, la Marcegaglia chiese il placet a palazzo Chigi. E, c’è da scommetterci, succederà anche questa volta. Con l’unica differenza che, vista la guerra in corso sulle nomine pubbliche e non solo, tra Letta e Giulio Tremonti bisognerà fare un passaggio anche dal ministero del Tesoro. Intanto Riotta, scrive su Twitter: “A tutti-tutte che twittano simpatia e sostegno what to say? I love ya guys I really do”.

da Il Fatto Quotidiano del 13 marzo 2011

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