Come nascono e si evolvono i contatti. Sempre con la regia e la supervisione del senatùr Umberto Bossi. Famiglia, gay e immigrati gli obiettivi comuni.
Una strana coppia, sicuramente, ma non una coppia strana, visto le posizioni politiche: lei si chiama Marine Le Pen, lui Mario Borghezio. Lei è leader dell’estrema destra francese, candidata – per giunta tra i favoriti – alle prossime elezioni presidenziali in Francia, lui è un eurodeputato della Lega nord con posizioni che vanno ben oltre l’estrema destra.
I due si sono presentati oggi, tra proteste e sit in, al centro di prima accoglienza a Lampedusa. Molto cauti, in realtà Le Pen e Borghezio una loro idea di frontiera ce l’hanno. Netta e radicale. E si riassume facilmente in una sola parola: muro. Ma come nascono i rapporti tra Borghezio, la Lega e l’estrema destra europea? Non è storia recente. Le prime convergenze risalgono alla fine degli anni Novanta, più precisamente tra la fine del 1997 e i primissimi mesi del 1998. Tutto ha inizio quando il movimento guidato da Umberto Bossi iniziò con Borghezio e i funzionari del Carroccio come Giorgio Mussa e il defunto Archimede Bontempi, uomo con un passato in “Servire il Popolo”, a stringere rapporti e alleanze con movimenti politici e culturali vicini al mondo neonazista.
I primissimi contatti fuori dalla Padania sono con il Vlaams Blok fiammingo (oggi diventato Vlaams Belang dopo che un giudice ne ha sciolto il vecchio partito per incitamento all’odio razziale) invitato in alcuni congressi della Lega a partire dal 1998. Poi ci fu un’infatuazione per l’Fpoe di Joerg Haider, in Austria, Carinzia in particolare, i cui contatti iniziarono tra il 1997 ed il 1998 e furono sanciti con accordi a Venezia nel 1999 e visite ufficiali di Haider a Vicenza. Non mancarono, sempre in quegli anni, contatti del Fronte Nazionale francese di Jean Marie Le Pen ed il Club dell’Horloge di Parigi, fucina intellettuale dell’estrema destra d’oltralpe.
A queste si aggiunsero poi le visite in Russia presso l’ultranazionalista russo Zyrinovsky, invitato anche ad una seduta del “Parlamento Padano”, e con la visita del 25 aprile 1998 di Bossi a Mosca al congresso del discusso politico russo amico personale di dittatori come Gheddafi e prima ancora Saddam Hussein. Si prosegue poi con le visite al dittatore nazionalcomunista Slobodan Milosevic durante la guerra, con Bossi che dalle colonne della Padania il 26 marzo 1999, in un articolo dal titolo “In marcia contro i massoni” a firma Gianluca Savoini, dichiara: “Non sapevo ci fossero dei massacri dei serbi nei confronti degli albanesi sicuramente c’erano per la pubblicistica americana” . I contatti con la dittatura di Milosevic, in un periodo in cui il dittatore di Belgrado stava per essere arrestato per essere messo sotto processo alla Corte Internazionale dell’Aja, proseguirono poi nel febbraio 2000, con le visite delle delegazioni leghiste al congresso del partito nazionalcomunista. Presenti il rappresentante degli esteri Archimede Bontempi e l’onorevole leghista Rossi.
Il collante tra la destra e la Lega sono vecchie parole d’ordine: lotta al mondialismo, al complotto giudaico-massonico contro la famiglia tradizionale, lotta all’immigrazione, xenofobia sempre più spinta. Un documento del dicembre 1998 firmato da Giorgio Mussa della segreteria del Carroccio “Padania identità e società multirazziali” ricalca il programma del Fronte Nazionale di Jean Marie Le Pen sul tema con chicche come: “Noi siamo per lo stabilimento dello ius sanguinus solo chi nasce da un genitore che possiede già la nostra nazionalità potrà essere considerato come connazionale”.
La virata verso l’estrema destra era portata a compimento. Chi nel partito di Bossi non acconsentiva poteva accomodarsi. Via l’associazione “Libero Orientamento Sessuale Padania” che difendeva i diritti degli omosessuali ed era guidata da due veneti Carlo Manera e Marcello Schiavon. Via l’associazione degli immigrati leghisti capitanata da un consigliere comunale siriano di Scandiano (Reggio Emilia), il dentista Farouk Ramadan. Era tempo di raccogliere le firme contro “l’immigrazione e il mondialismo” a fianco di Forza Nuova di Roberto Fiore e la fascistissima Fiamma Tricolore. Forza Nuova che nei suoi siti il 2 marzo 1999 esaltava le visite dell’onorevole Borghezio alla protesta degli estremisti di destra presso l’Obelisco Axum in occasione della campagna referendaria antimmigrazione cui darà il suo appoggio anche Jean Marie Le Pen in persona.
Così, le campagne omofobe, sempre più spinte, e la lotta all’immigrazione, lanciavano il futuro sindaco di Verona Flavio Tosi che proprio da fine anni Novanta inizia la sua ascesa verticale nel Carroccio. Quel Tosi che nel 2007 appena eletto non ebbe timore a partecipare a una manifestazione organizzata da Fiamma Tricolore , Forza Nuova e Veneto Fronte Skinhead, e inserire e promuovere nella”Lista Tosi” il rappresentante e consigliere comunale di Fiamma Tricolore ed ex esponente del mondo della musica skin, Andrea Miglioranzi. Come primo atto forse non tutti ricorderanno la nomina del fascista (cosi si definisce) Miglioranzi da parte del consiglio comunale a guida Tosi nell’Istituto Storico della Resistenza di Verona. Le polemiche lo portarono a quasi immediate dimissioni.
Dopo un periodo di relativa calma, l’eurodeputato leghista Borghezio, un passato in Ordine Nuovo, torna alla ribalta in Francia partecipando sia ad incontri con Marina Le Pen e a raduni di nuove formazioni di fuori usciti del Fronte Nazionale francese e neonazionalisti che mischiano le questioni identitarie con la lotta contro l’immigrazione e l’odio contro le religioni ed il “regionalismo” che una volta valore di forze politiche progressiste diventa la scusa per escludere ed attaccare il “diverso”. Del resto lo afferma lo stesso Borghezio nel 2009, ripreso inconsapevolmente da una tv francese ad uno di questi raduni. “Il regionalismo è solo una copertura. Noi siamo sempre i fascisti di un tempo”.
Lo stesso fa in altre parti d’Europa in Germania con il movimento di destra Pro Koln, nelle Fiandre al fianco del Vlaams Belang che in passato difendeva apertamente quando si chiamava ancora Vlaams Blok l’apartheid. Il paladino è sempre lui. L’onorevole Borghezio.
di Matteo Incerti