C’è un giudice (forse) a Trapani. Ma non ci sono i giornalisti. Nessuna testata nazionale che segua il processo per l’assassinio di Mauro Rostagno. Tranne uno, il collega siciliano Rino Giacalone, che sulla pagina del gruppo Facebook sul processo, tiene costantemente informato chi vuole esserlo. Oggi Giacalone ha scritto questo post che spiega, almeno in parte, le ragioni del silenzio assordante sulla morte di un personaggio così clamoroso.
L’ordine era (ed è) dimenticate Rostagno
Quante sono le morti violente, come per Mauro Rostagno, per le quali abbiamo dovuto leggere e sentire di depistaggi, mascheramenti (masciariamenti), persone oneste la cui coscienza civile è stata dopo la morte ancora sporcata, offesa, vilipesa, per nascondere la mano degli assassini mafiosi macchiata del sangue delle loro vittime.
Secondo una regia occulta, Mauro Rostagno doveva essere dimenticato, doveva risultare che era stato ucciso magari per qualche schifezza, la droga, le corna, i tradimenti, le gelosie.
Silenzio allora. E perchè? Rileggete i suoi editoriali e vi renderete conto come pezzo per pezzo lui stesse mettendo insieme il mondo mafioso trapanese, quello che ha saputo sintetizzare passato e futuro, tradizione e modernità, violenza ancestrale e spietata capacità di accumulare capitali. E che è poi oggi la mafia di Matteo Messina Denaro: non a caso allora la decisione di uccidere Rostagno fu presa a Castelvetrano, ordinata dal patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro. Trapani ha protetto questa mafia perché è la mafia che ha gestito, e gestisce, l’economia, gli appalti pubblici, ha dato, e dà, lavoro, ha sparato quando c’è stato da sparare, ha votato bene quando c’è stato da votare bene. Ecco perché Mauro Rostagno è stato ucciso, stava svelando tutto questo e contro tutto questo stava cercando di dare corpo e anima al “coro sociale”, quello delineato nel 1930 dal filoso Josè Ortega y Gasset, “perché non vi fosse un solo protagonista a muovere le masse sociali ma vi fosse una sola massa a muoversi”.