Gli istituti di tutto il mondo riducono i prestiti alle periferie dell’euro ma l’esposizione complessiva al rischio torna a crescere. Un problema irrisolto, soprattutto per le principali economie del Vecchio Continente che portano sulle spalle il peso più grande
“Secondo stime approssimate, le attività estere delle banche dichiaranti alla Bis verso i quattro Paesi menzionati, a tassi di cambio costanti – si legge nel rapporto – sono lievemente diminuite. Gran parte del calo di 39 miliardi di dollari (2,4%), al netto degli effetti di cambio, deriva da una flessione di 23 miliardi (5,0%) delle attività interbancarie”. In sintesi, il credito si è contratto. Come a dire che gli istituti internazionali hanno ridotto i loro prestiti a governi, banche e imprese collocate nelle aree calde della zona euro. Un dato importante che cattura oggi l’attenzione dei massimi quotidiani finanziari del Pianeta: il Financial Times e il Wall Street Journal. Eppure, come osserva la stampa del Vecchio Continente, a balzare agli occhi è un altro dato. Nonostante la riduzione del credito l’esposizione complessiva nel terzo trimestre 2010 è aumentata. E con essa il rischio totale.
Negli oltre 2.500 miliardi di biglietti verdi rientra infatti un po’ di tutto. Le attività estere delle banche, certo, ma anche le garanzie e le perdite potenziali sul mercato dei derivati. Tutti aspetti etremamente significativi. Interessante, in questo senso, l’analisi comparata lanciata nelle ultime ore dall’agenzia France Press. L’esposizione delle banche europee nei confronti dei Paesi a rischio è cresciuta nei tre mesi in esame registrando così una tendenza opposta a quella evidenziata nel trimestre precedente. Gli istituti francesi hanno chiuso il periodo con 92 miliardi di dollari di esposizioni sulla Grecia (+10,7%), i loro colleghi tedeschi hanno visto anch’essi aumentare il proprio dato nei confronti di Atene (69,4 miliardi, +6,1%). Quanto all’Irlanda la situazione non è certo migliorata : 208,3 miliardi per le banche teutoniche (+11,7%), addirittura 224,6 per quelle britanniche (+19,8%). Trasferendoci nella penisola iberica, infine, la tendenza viene confermata: gli istituti spagnoli sono coinvolti nell’economia portoghese per 108,6 miliardi (aumento del 10,5%) contro i 48,5 dei tedeschi (+9,5%). Berlino, contemporaneamente, è esposta verso Madrid e dintorni per 242,4 miliardi (+11,8%) e il settore bancario francese non si comporta particolarmente meglio (224,6, con un aumento dell’11,6%). L’Italia, infine, può sentirsi al sicuro con meno di 81 miliardi di esposizione sulla periferia. Ma i nostri problemi, come noto, sono ben altri. A gennaio, il debito pubblico ha toccato i 1.879 miliardi di euro, 36 in più rispetto al mese precedente. Nuovo record.
Fatti i conti, la morale della favola è piuttosto evidente. Ci si può concentrare sul dato della contrazione creditizia (che poi, per il quartetto dei Pigs non è una bella notizia) ma non si può fare a meno di tenere in considerazione la cifra del rischio complessivo (che tre mesi prima ammontava a 2.281 miliardi) e soprattutto la sua distribuzione. Oltre la metà di questo (1.380 miliardi di dollari) grava sulle spalle delle tre maggiori economie del Continente ovvero Germania (569 miliardi), Gran Bretagna (431) e Francia (380). Un motivo in più per alimentare la tensione.
“L’Europa è in una situazione pericolosa” commenta oggi sul Wall Street Journal il co-presidente dell’Official Monetary and Financial Institutions Forum David Marsh. Il contrasto tra “l’apparente intrasigenza dei creditori” e “le periferie indebitate e apparentemente senza speranza” starebbe producendo una sorta di “mutuo ricatto” tra chi chiede sacrifici enormi per inseguire la stabilità e chi, al contrario, invoca un aiuto a sostegno del futuro dell’euro proprio a chi (la Germania soprattutto) avrebbe saputo maggiormente beneficiare della moneta unica nel corso di questi anni. Una situazione di stallo, insomma, da superare al più presto. Prima che il rischio diventi davvero insostenibile.