Non per dover pensare male a tutti i costi, ma secondo voi perché l’Italia, in una ricerca effettuata dalla prestigiosa Università di Oxford, risulta al 26° posto per lo sviluppo della cosiddetta banda larga? Siamo preceduti da Romania, Grecia, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca e ce la giochiamo al fotofinish con Polonia e Slovacchia.
Io me lo sono chiesto e ho trovato dei dati interessanti, se incrociati fra loro. Soprattutto e purtroppo, mi è venuto il sospetto che la politica italiana abbia scelto consapevolmente di tenere in vita se non uno zombie, quanto meno un Paese vecchio come il cucco.
Capito che a Bucarest si naviga meglio che a Milano, mi sono subito resa conto che non si tratta di un mero problema di competizione fra “chi è più veloce”, bensì una questione ben più spinosa: nel resto d’Europa la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 e una crescita dell’economia di 850 miliardi di euro.
In Italia invece, le speranze di avere internet veloce si sono ridotte al lumicino quando nel 2009 il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha dichiarato: «I soldi per la banda larga li daremo quando usciremo dalla crisi». Ma come? Se dai dati e dalle politiche europee emerge che è proprio investendo in questo tipo di tecnologie che si può venirne fuori?
C’è un altro aspetto che è di primaria importanza. Le grandi rivoluzioni nel mondo stanno avvenendo anche grazie allo sviluppo, soprattutto in Paesi difficili, di Internet. È indubbio che sia diventato strumento della cosiddetta democrazia decentralizzata o diretta, in base alla quale, tutti possono accedere alle informazioni e agire di conseguenza. Abbiamo assistito all’incredibile metamorfosi che ha portato comunità virtuali a riversarsi in carne e ossa per le strade e chiedere la libertà da regimi totalitari. Abbiamo avuto accesso alle esperienze e alle notizie di giovani rivoluzionari nel tentativo di rovesciare regimi. Abbiamo saputo come stavano gli amici giapponesi, quando, a poche ore dal terremoto, alle linee telefoniche in tilt solo la Rete è sopravvissuta. Abbiamo tastato la fragilità dei governi grazie a Wikileaks. Ed è internet che viene censurato per primo quando un regime teme di perdere potere.
Torniamo alla miope politica italiana degli ultimi tempi. I fondi bloccati “perché c’è la crisi”, avrebbero portato la banda larga 20 Megabit al 96% degli italiani entro il 2012 e 2 Megabit alla parte restante. Risolvendo così il problema della copertura e dei rallentamenti di connessione.
Ma è scartabellando fra i dati degli ascolti televisivi, che assale un dubbio atroce.
I ricercatori di Ipsos hanno effettuato un sondaggio fra trentamila famiglie italiane, per conto di Auditel. Secondo la ricerca, avere internet a casa, equivale a un’ora e ventuno minuti in meno davanti alla Tv. In particolare dalle 17 alle 23, quando insomma si torna a casa dall’ufficio o si finiscono i compiti. Inoltre i minuti sottratti alla Tv sarebbero destinati ad aumentare. I giovani sono in fuga dal piccolo schermo, al quale preferiscono – si può biasimarli? – l’ampiezza di stimoli “attivi” (perché implicano una ricerca individuale) che trovano su Internet.
E allora mi viene da pensare che ci sia la volontà di mantenere le persone incollate alle tre reti Rai e Mediaset il più possibile. Meno si va su Internet meno si prende coscienza di tante tematiche.
Che dietro i mancati finanziamenti alla banda larga si nasconda l’intenzione di non incentivare l’accesso alla pluralità d’informazioni? Che l’inaccettabile monopolio televisivo italiano stia remando contro, oltre che a una ripresa economica veloce, anche allo sviluppo delle coscienze nel Paese? Una vera democrazia di oggi non può accettare questo tipo di condizioni.
di Alessandra Sestito