Dall’inizio della sua straordinaria carriera gioca con il cinema reinventandolo di volta in volta, creando visioni vanamente imitate, iniziando ad ogni lavoro percorsi inediti tra mente e cuore con una sola costante a unirli tutti, l’emozione. Che è dei personaggi e dello spettatore, soprattutto di un occhio devoto al cinematografo come ad un culto. E’ quello stesso sentimento che avvolge una fattoria in provincia della verdiana Busseto, il deserto, la Città Proibita, le colline senesi, un appartamento parigino oppure nei pressi di Trinità dei Monti.

Bernardo Bertolucci, che oggi compie settant’anni, da sempre racconta l’amore e l’ideale politico, il sesso, la solitudine, la vecchiaia e la gioventù, gira intorno all’uomo e alla sua Storia, pensa se stesso e gli altri attraverso le immagini che lo hanno nutrito, la voglia di andare a fondo nelle pieghe dell’anima e di viaggiare, di scrivere con la macchina da presa. Figlio del poeta Attilio, inizialmente segue le orme paterne per poi dedicarsi, appena ventenne, al cinema assistendo Pier Paolo Pasolini, che abitava nel suo stesso palazzo, per Accattone.

A differenza di troppi colleghi, non si è fermato alle folgorazioni di gioventù – Pasolini appunto, nume tutelare dell’esordio La commare secca, o Godard, che tanto influì in Partner –, ma ha cercato oltre, seguendo le evoluzioni e le tendenze, fino alla magnifica levità di Io ballo da sola e L’assedio. Un piccolo grande film quest’ultimo che, alla sua uscita, sembrava avere la pensosa leggerezza del primo Wong Kar-wai. Una rivoluzione non da poco per l’autore dei colossali Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore (9 Oscar), per un regista che ha ispirato Scorsese e Coppola con lo spartiacque Il conformista, girato nello stesso 1970 dell’altrettanto grande Strategia del ragno.


Ulteriore prova di quella continua voglia di scoperta è il suo recentissimo interesse per il cinema stereoscopico. In un’intervista contenuta nell’edizione Hd di Novecento in uscita questi giorni, il grande cineasta ha dichiarato: “Mi piacerebbe vedere Bergman e Fellini in 3D. Ci proverò, io voglio usare la tecnologia per andare più a fondo nei personaggi”. E il suo prossimo progetto, tratto da Io e te di Ammaniti, utilizzerà proprio le tre dimensioni per meglio illuminare una storia di adolescenti, l’incontro tra un ragazzo e una ragazza. Inizierà a girare in autunno dopo otto anni di assenza dal set, un’assenza troppo rumorosa per tutti.

Probabilmente è come se Bertolucci ringiovanisse di anno in anno attraverso i suoi film. E’ sempre stato così, basta pensare al Marlon Brando di mezza età di Ultimo tango a Parigi (1972), ritratto dal regista quando aveva solo trentun anni, e ai ragazzi di The Dreamers (2003), messi in scena una volta oltrepassati i sessanta. Sembra strano, ma tutto torna. Nei prossimi mesi ad aspettarlo c’è l’adolescenza di Ammaniti: tornare giovani col cinema, rimanendo adulti in una vita che in confronto poco conta.

Il cineasta considera tutti i suoi film come le diverse sequenze di un’unica grande pellicola, difficile non essere d’accordo. E’ proprio quello slancio di cui si diceva all’inizio a fare da collante, le carrellate lente che avvolgono i corpi o le fiumane di uomini e donne assieme alle luci (di Storaro su tutti) di un caldo bozzolo attraverso cui conoscere la storia di un imperatore o di un operaio, come medesime ombre cinesi. Tra produzioni internazionali e rientri in Italia, sontuosità e sobrietà, grandi sfarzi e intelligenti virate di rotta, il cinema di Bertolucci sta come pochissimi altri in perfetto equilibrio tra intelletto e emozione, stile e passione.

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