In attesa della manifestazione del 9 aprile, nelle università è partito il "tour" per illustrare i diritti (non scontati) di chi inizia uno stage: esperienza obbligata per il 49% dei laureati alla specialistica e per il 60% dei laureati alla triennale
“Qui da noi i giovani sono stanchi di essere sottopagati o costretti al lavoro invisibile e gratuito – denuncia Luca De Zolt, tra i promotori della campagna “Giovani non più disposti a tutto” lanciata dalla Cgil. Hanno attivato un sito e fatto tam tam sui social network e flash mob. L’obiettivo ora è quello di rafforzare la rete già inaugurata nei mesi scorsi girando per gli atenei della penisola: dopo le università marchigiane, laziali e piemontesi, il 19 marzo saranno a Prato con i “10 comandamenti dello stagista”.
Ecco i punti principali del decalogo: “Lo stage non è una forma di lavoro”, “lo stagista ha diritto al tutorato”, “lo stagista ha diritto ad un congruo rimborso di spese”, “allo stagista devono essere riconosciuti i diritti”. E ce n’è anche per gli enti e le aziende ospitanti: “lo stagista non può sostituire personale dipendente” (gli enti ospitanti non possono far uso degli stagisti per coprire compiti e mansioni che andrebbero affidate a personale dipendente, né attività ripetitive prive di contenuto formativo e non possono essere previsti obblighi di orario), “è consentito un limite massimo di stagisti in proporzione al personale” (ogni ente ospitante può avere nell’arco dell’anno solare massimo uno stagista per le aziende sotto i 15 dipendenti a tempo determinato, massimo due stagisti per le aziende da 15 a 50, massimo il 10% per le aziende sopra i 50 dipendenti), “lo stage non può essere prorogato”.
La parola chiave è formazione. L’obiettivo della campagna è ottenere delle condizioni dignitose per svolgere l’attività di stage: strumenti funzionali all’attività, compresa la postazione di lavoro e l’accesso alle riunioni, alla mensa, ai buoni pasto, ai trasporti, all’alloggio.
Qualche risultato è già arrivato: da un mese i ragazzi di “Non più” sono riusciti a far siglare un accordo tra “Telecontact” e le università di Napoli, Catanzaro e Catania per sostituire 200 stagisti con apprendisti contrattualizzati e pagati con borse studio. Hanno attivato uno spazio online per segnalare gli stage truffa e hanno chiesto alle regioni e ai centri impiego i dati precisi con la suddivisione per settore, “non ha senso confrontare un giornalista a un fisico”, dicono. Auspica De Zolt: “Anche da parte dello stagista ci sia la possibilità di segnalare le aziende che hanno violato le normative per inserirle in una “black list” in modo tale che siano interdette dal poter offrire ulteriori tirocini”.
Guardando i dati diffusi in questi giorni da Almalaurea, si scopre che la disoccupazione è salita vertiginosamente. E il tirocinio durante gli studi sembra essere l’unica ancora di salvezza. Ma quanti lo fanno esattamente? La stima completa dei laureandi e dei neolaureati che, col miraggio dell’assunzione, fanno uno stage o un praticantato, è tutt’altro che precisa e aggiornata. Non la fa l’Istat. Repubblicadeglistagisti.it dice che, in linea di massima, sono mezzo milione l’anno: 200mila nel pubblico impiego e 300mila nel privato. Almalaurea li percentualizza: fa uno stage il 49% dei laureati alla specialistica e il 60% dei laureati di primo livello. Nel 2001 erano meno del 20%. Vero è che – dati alla mano – lo stage avvantaggia: già nel primo anno dopo il conseguimento della laurea lavora il 58% contro il 52% di chi non ha svolto questa esperienza formativa.
Ma sono tanti, troppi, gli studenti e i neolaureati italiani che, pur di mettere nel curriculum un’esperienza, fanno sostituzioni maternità o svolgono mansioni tutt’altro che adeguate al tipo di percorso universitario. “Stare alla cassa, fare da segretaria o piegare le magliette in un grande magazzino – conclude De Zolt – sono pratiche che salgono a dismisura, come il numero degli stage che ti fanno svolgere basse mansioni non formativi e privi di contenuto”.