Qual è secondo lei la situazione più preoccupante?
Quella del reattore 2, che ha il contenitore primario che si è fessurato e almeno un 5% del combustibile fuso. Ora, il 5% di per sé non è una percentuale così elevata da fare ancora pensare che possa verificarsi qualcosa di davvero distruttivo, ma dal momento che una parte del combustibile è fuso, bisogna assolutamente trovare la maniera di refrigerarlo e di farlo nuovamente solidificare. Gli sforzi che stanno tentando di fare con l’acqua di mare servono proprio a questo. E a fare sì che reggano i vessel, che sono i recipienti in pressione che contengono i reattori nucleari.
Come stanno agendo i soccorsi e come possiamo ricostruire cosa è successo?
In tutti e tre i reattori nei primi giorni c’è stato un aumento di temperatura e quindi di pressione nel vessel. Questa è stata controllata aprendo le valvole di sfogo che hanno scaricato il vapore direttamente nella piscina di soppressione. La pressione in questo caso è aumentata molto e il vapore misto a idrogeno, azoto e prodotti di fissione è stato spurgato all’esterno. Questo ha portato al primo scoppio e al rilascio della prima quantità di radiazioni, in dosi migliaia di volte il valore di fondo, ancora non particolarmente preoccupanti, ma da considerare con estrema serietà.
E quand’è che le dosi diventano preoccupanti?
Quando si arriva nell’ordine, diciamo, delle decine di milliSievert all’ora. Una Tac, per dire, è nell’ordine delle frazioni di mSv. Diciamo che per parlare di danni stocastici, quindi non immediati, dovremmo essere nell’ordine del mezzo Sievert.
Una delle critiche che è stata mossa in questi giorni alla Tepco, la società giapponese che gestisce gli impianti, è quella di comunicare in maniera poco trasparente. Lei crede che nascondano delle cose?
No, io credo che la Tepco semplicemente molte cose non le sappia proprio. Ma l’impressione che ho avuto non è che stiano tenendo delle informazioni segrete. Nei primi giorni è stata data anche una classificazione dell’incidente, che da 4 è salita a livello 5. Probabilmente salirà anche a livello 6. Ma non credo che si arriverà a livello 7, come fu Chernobyl.
Erano pronti secondo lei gli impianti di Fukushima, vecchi di 40 anni, a fronteggiare questa emergenza?
Decisamente no. Abbiamo l’evidenza sperimentale della cosa direi…
Gli occhi in questi giorni sono puntati sui venti e sulla direzione in cui spirano. Lei crede che ci sia il serio rischio di danni nel caso in cui raggiungano centri densamente popolati?
Per ora sembra che le correnti abbiano tirato da Fukushima verso il pacifico. Detto questo, un po’ di radioattività chiaramente è circolata. Ma bisognerà stare a vedere gli sviluppi. Io comunque credo che, per il momento, gli effetti dovrebbero rimanere limitati a quella fascia di 30 km che è stata evacuata.
Un’ultima domanda. Tutta questa vicenda sta imponendo un ripensamento, a livello europeo, sul nucleare e sulla sicurezza legata ad esso. Lei crede che questo dibattito sia necessario e che ci sarà? Anche in Italia, relativamente al programma nucleare italiano?
Io penso che anche da noi un dibattito ci sarà necessariamente e dovrà anche esserci un ripensamento sui temi della sicurezza. Questo perché le soglie di allarme finora considerate, anche alla luce di questi incidenti, dovranno essere necessariamente alzate, anche se gli impianti di terza generazione offrono obiettivamente maggiori garanzie.