Com’era prevedibile, il grande affanno interventista in Libia sta probabilmente per risolversi in un nulla di fatto. C’è chi accusa la codardia dell’Occidente, ma probabilmente c’è qualcosa di più sotto. E cioè la scarsa volontà di appoggiare dei ribelli che, pur nelle peculiari caratteristiche della situazione libica, si ponevano sulla stessa lunghezza d’onda dei rivoluzionari tunisini ed egiziani. Non è un caso se, in queste stesse ore, Hamas a Gaza stia reprimendo gli studenti palestinesi che chiedono l’unità nazionale fra le varie fazioni, mentre in Bahrein le truppe saudite sparano sui manifestanti nel totale silenzio del mondo arabo e della comunità internazionale.
Siamo già all’epilogo delle rivoluzioni arabe? Difficile dirlo… ma si può sperare che l’onda lunga scatenata dai moti tunisini continui ancora a lungo. Infatti, i bisogni di fondo, in termini di democrazia, diritti fondamentali, lavoro e dignità, restano ancora del tutto insoddisfatti, anche in Europa, specialmente sul suo fianco mediterraneo.
La Libia, ad ogni modo, resta per molti aspetti un caso particolare. Gheddafi ha saputo innalzare la bandiera dell’indipendenza nazionale contro le intromissioni delle potenze straniere. Gli insorti hanno agito probabilmente in modo avventurista, sottovalutando le forze e le risorse del regime, che è passato al contrattacco. Si è confermata tuttavia l’incapacità di agire a livello internazionale in modo rapido ed efficace. Sarebbe interessante accertare in che misura siano state attuate le sanzioni decise dalla risoluzione 1970, in particolare quelle relative al congelamento dei beni (asset freeze), ad esempio in Italia, dove i beni appartenenti alla famiglia Gheddafi sono molti ed ingenti. Si tratta ad ogni modo di misure scarsamente calibrate per situazioni di emergenza, dove occorre agire in modo tempestivo.
Che fare, a questo punto? Occorre certo evitare il bagno di sangue. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe imporre il cessate il fuoco e inviare truppe di interposizione. Una volta ottenuto il blocco dei combattimenti, si potrebbe lanciare un negoziato nazionale. Ovviamente se ci si fosse mossi dall’inizio su questa linea, come suggerito da Chávez e Lula, anziché baloccarsi in irrealistiche ipotesi di intervento armato o illudersi in un’improbabile vittoria militare dei ribelli, si potrebbe forse oggi avere qualche risultato.
Ma le grandi potenze guardano anzitutto ai propri interessi. Ciò vale anche e soprattutto per gli Stati membri dell’Unione europea che, come ai tempi della Jugoslavia e poi dell’Iraq ha confermato la totale inconsistenza della propria politica estera. L’unica disposta all’intervento era la Francia, che ha evidentemente fretta di sostituire Ben Alì, e di riaffermare a qualsiasi costo il proprio ruolo nella regione. Per tutti i rivoluzionari, importanti insegnamenti: innanzitutto, quello di contare sulle proprie forze, evitando inutili illusioni. I popoli si liberano da sé, non facendo affidamento sull’interessato interventismo a parole di questo o di quello.