Senza la mega discarica di Malagrotta, il Lazio e in particolare Roma sarebbero nelle stesse condizioni della Campania. Il dato si ricava dalla relazione territoriale approvata dalla commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Ed è confermato anche dalla incapacità di comune e regione di trovare una soluzione alternativa all’invaso (per i prossimi giorni è prevista, ad esempio, una manifestazione anti-discarica ad Allumiere, dove il comune di Roma aveva pensato di localizzare una cittadella dei rifiuti). Avanza l’incubo emergenza. E i dati parlano chiaro: cifre risibili di raccolta differenziata, assenza di un piano integrato che parta dalla riduzione del monte rifiuti, la solita corsa all’incenerimento, inchieste su sprechi e illeciti.
Malagrotta forever
La discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, è di proprietà della società Co.la.ri. dell’imprenditore Manlio Cerroni e raccoglie i rifiuti della città di Roma da decenni. Ogni giorno arrivano 5mila tonnellate di pattume con un costo per le casse del Campidoglio intorno ai 45 milioni di euro l’anno. La chiusura era prevista nel dicembre del 2008, ma da allora si è andato avanti con proroghe e rinvii. Sulla scelta del nuovo sito non mancano le polemiche e gli scontri tra regione e comune, nonostante siano dello stesso colore politico. A metà settimana il consiglio regionale ha approvato una mozione che boccia l’ipotesi di una cittadella dei rifiuti da localizzare nel comune di Allumiere, ipotesi avanzata dal comune di Roma. Nel dicembre scorso, il sindaco Gianni Alemanno ha sottoscritto con il ministro della difesa Ignazio La Russa un documento per ottenere il terreno dove costruire la discarica: un poligono militare su un’area di 145 ettari, proprio nel comune di Allumiere. Contro questa opzione si è schierata anche la governatrice Renata Polverini, ed è prevista una manifestazione anti-discarica il prossimo 18 marzo ad Allumiere. Il problema dell’alternativa a Malagrotta resta irrisolto.
Piano bocciato. Inceneritori sovrastimati
La situazione è complessa. Basta leggere la relazione approvata dalla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, redatta dal deputato Antonio Rugghia e dal senatore Candido De Angelis. La regione Lazio, commissariata in questo settore dal 1999 al 2008, ha una produzione di oltre 3 milioni di rifiuti l’anno, con una percentuale di raccolta differenziata che non supera il 20%, notevolmente al di sotto degli obiettivi previsti dalla legge. Il Lazio destina in discarica la maggior parte dei rifiuti prodotti, contro le disposizioni che arrivano anche dalle direttive europee: “Finora – si legge nella relazione – sulla scia del “piano Marrazzo”, si è fatto ricorso alla discarica con richieste di ampliamento, rimodulazioni, piuttosto che potenziare la raccolta differenziata e il trattamento secco/umido del rifiuto tal quale”. Un indirizzo che privilegia una pianificazione impiantistica fondata sull’incenerimento. Nella relazione si legge: “La realtà regionale nel Lazio, dato il basso livello medio regionale di raccolta differenziata (dato 2008 = 15.0 per cento per eccesso) non è incoraggiante dal punto di vista della gestione integrata se non per ciò che riguarda l’impiantistica della termovalorizzazione che è probabilmente sovradimensionata e lo sarà di sicuro se la raccolta differenziata decollerà fino a raggiungere gli obbiettivi fissati dalla normativa( 60%,ndr)”. Gli inceneritori esistenti lavorano al di sotto delle loro potenzialità e questo dovrebbe indurre a rivedere la decisione di costruire un nuovo impianto ad Albano Laziale dopo che il Tar ha accolto il ricorso dei cittadini.
La spazzatura nel Lazio tra infiltrazioni e processi
Come se non bastasse, gli impianti esistenti producono materiale inutilizzabile, così si completa il quadro del disastro: “I vari impianti per la produzione di cdr (combustibile derivato dai rifiuti,ndr) forniscono per lo più ‘ecoballe’, che finiscono prevalentemente in discarica in quanto di scarsa qualità e non idonei per la termovalorizzazione”. In pratica gli impianti che dovrebbero lavorare i rifiuti, trasformandoli in ecoballe da inviare agli inceneritori, fanno un lavoro inutile. I rifiuti trattati per la cattiva qualità finiscono comunque nelle discariche. Nella relazione non mancano i riferimenti alle aree nel Lazio che dovrebbero essere destinate a bonifica e interventi di messa in sicurezza, a partire dalla valle del Sacco, ma anche alle inchieste in corso per irregolarità nel ciclo. Basti pensare alle indagini condotte dal Noe dei carabinieri e coordinate dalla Procura di Velletri che hanno accertato diversi illeciti nella gestione dell’inceneritore di Colleferro. Secondo l’accusa in quell’impianto finivano rifiuti non trattati, gli indagati avrebbero anche modificato il sistema di rilevamento in automatico dei fumi dell’impianto stesso. In ultimo c’è il dato economico, le aziende del settore vantano dalle pubbliche amministrazioni circa 250 milioni di euro. Più volte FederLazio ha minacciato sciopero, serrata di discariche e raccolta. Iniziative che avrebbero un solo effetto: i rifiuti in strada.