La protesta contro la riforma si sposta dalle piazze alle aule del Rettorato. Nonostante il testo sull’università sia diventato legge da quasi due mesi, gli studenti continuano la mobilitazione. L’obiettivo ora è ostacolare i lavori per la definizione del nuovo statuto, impedendo di fatto l’attuazione della legge.L’opposizione alle attività della commissione va avanti da metà febbraio. Martedì mattina l’ultima azione dimostrativa: una cinquantina di ragazzi del movimento No-Gelmini hanno fatto irruzione nella sala dell’Ottavo Centenario, interrompendo il Consiglio d’Amministrazione riunito per discutere del nuovo statuto. Con megafoni e striscioni, e al grido di «Fuori la Gelmini dall’Università», i manifestanti hanno interrotto la riunione, scatenando la rabbia del rettore Ivano Dionigi. «Continueremo a bloccare i lavori per lo statuto fino al commissariamento», minacciano.
Due le questioni chiave sulle quali pretendono risposte: stage e partecipazione. «Gli stage e i tirocini previsti dall’Università per ottenere la laurea – grida Paolo al megafono – sono forme di sfruttamento, lavoro non retribuito». Gli studenti chiedono che lo statuto regolamenti anche questo settore, garantendo maggiori tutele agli stagisti e ai tirocinanti. Al centro delle contestazioni anche i metodi con cui si stanno svolgendo i lavori della commissione. Bocciato il sistema delle audizioni separate, definito «ridicolo e inutile perché non consente margini di contrattazione».
Mentre i 15 esperti della commissione «sono stati designati in modo arbitrario da Dionigi, escludendo la rappresentanza dei ricercatori precari». E dubbi sulle nomine della commissione sono stati espressi anche da Maurizio Matteuzzi, professore di filosofia e portavoce del movimento “Docenti preoccupati”: «Dopo l’approvazione della legge Gelmini la commissione avrebbe dovuto essere rieletta».
A fianco degli studenti anche gli impiegati dell’Università. «Comprendiamo le motivazioni della protesta – ha dichiarato Antonella Zago, rappresentante in Consiglio d’Amministrazione del personale tecnico e amministrativo dell’Ateneo – il rettore ha deciso di intraprendere un percorso che non vede un confronto reale e concreto con l’esterno. Ci sono ancora troppe domande senza risposta. Ad esempio: quale sarà il rapporto con l’impresa? E la rappresentanza? Sarà garantita a tutte le categorie?».
E proprio l’entrata di soggetti privati nel Consiglio d’Amministrazione d’Ateneo è uno dei punti che più preoccupa gli studenti. Per legge infatti almeno 3 degli 11 componenti del CdA dovranno essere esterni. La porta è aperta quindi a fondazioni bancarie ed enti, come Regione e Comune. «Tenderanno a sostenere solo progetti a vantaggio dei loro interessi– dice Michele, studente di Scienze Politiche – in questo modo la formazione passa in secondo piano rispetto all’esigenza di far profitto». A pagarne le spese saranno, secondo lui, soprattutto le materie umanistiche. «Tra un progetto d’ingegneria e uno di antropologia, chi riceverà i finanziamenti dell’impresa?»
G.Zac.