Massimo Cialente, sindaco dimissionario de L’Aquila, rifiuta l’invito di Giorgio Napolitano a partecipare alle celebrazioni per il 150esimo dell’Unità d’Italia. E occupa, per protesta, il palazzo comunale della città terremotata. Le prese di posizione di Cialente – che a molti concittadini sono apparse tardive – sono iniziate in maniera concreta a partire dall’annuncio delle dimissioni, lo scorso 7 marzo.
Confermate ufficialmente il giorno successivo e definite in un primo momento irrevocabili, le dimissioni del sindaco hanno come sfondo il dramma di una città che non riparte. Qualche giorno dopo, intervistato da Radio Vaticana, Cialente ha preso una posizione chiara contro la logica dell’emergenza, dell’esautoramento delle autonomie locali e del commissariamento: «E’ chiaro comunque che il modello di una ricostruzione imposta dall’alto non ha mai funzionato. I sindaci non possono fare niente, neanche decidere la priorità dei luoghi dove raccogliere le macerie. Il commissariamento è qualcosa di allucinante.»
Ieri Cialente ha annunciato che non avrebbe partecipato alle celebrazioni di Roma, nonostante l’invito ufficiale. Oggi, come diretta conseguenza, il clamoroso gesto di protesta: occupa simbolicamente palazzo Margherita e vi riceve giornalisti, consiglieri comunali e autorità locali. La vecchia sede del consiglio comunale è ancora inagibile dopo il terremoto del 6 aprile 2009 ed è il simbolo istituzionale della lentezza della ricostruzione. Per motivare il suo gesto dice: «Oggi, nella festa dell’unità d’Italia era importante lanciare un segnale al resto del Paese. E’ il momento di chiedere le risorse per portare avanti la ricostruzione, perché nella nostra città, fra i nostri cittadini sta subentrando l’indignazione.»
Poi, lascia intendere che potrebbe rivedere la sua decisione in merito alle dimissioni, che consegnerebbero la città a un commissariamento di un anno. Non si può dimenticare (video) che a molti i rischi delle decisioni prese dall’alto erano già chiari fin dal 16 giugno del 2009, quando gli aquilani si radunarono per la prima volta a Montecitorio per protestare contro il cosiddetto “Decreto Abruzzo” proprio per sottolineare che le decisioni sulla ricostruzione sarebbero state prese dall’alto, con gravi conseguenze per il territorio del cratere sismico. Oggi, quasi due anni dopo, gli stessi temi vengono sollevati ufficialmente e senza equilibrismi anche dal sindaco dimissionario. Un gesto forte e simbolico, nel giorno in cui l’Italia festeggia la sua Unità e rischia di dimenticare, ancora una volta, i terremotati de L’Aquila.