Scrisse Antonio Gramsci nel 1920, sull’Ordine Nuovo, queste parole: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce, che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.
Aveva ragione. Ed è anche vero che il Risorgimento non fu per niente una “rivoluzione di popolo”, e che fu usato dalla monarchia sabauda per costruire sì uno stato unitario, ma nell’interesse di una borghesia gretta e ottusa, subito pronta ad allearsi con i latifondisti meridionali, reazionari e sanfedisti. Il fascismo nacque, figlio carnale, da quella alleanza.
Eppure l’Italia non è stata solo il risultato di questa storia. E potrebbe ancora essere, dopo 150 anni, una cosa diversa dall’immonda decadenza cui è stata costretta, o (per quelli che hanno chinato la testa) a cui si è assoggettata. Lo prova la Costituzione di cui si è dotata, dopo la caduta del fascismo.
E poiché vedo, con raccapriccio, chi sono coloro che oggi insultano il tricolore, i lanzichenecchi della Lega; e poiché vedo chi è, e di che pasta è fatto, l’eversore che guida il governo d’Italia, contro la Costituzione, allora non posso che stare dalla parte del tricolore (anche se non mi piace l’inno di Mameli) e della Resistenza, che quella Costituzione promosse.
Festeggio dunque il 150esimo anniversario del nostro paese: per difendere la sua unità (contro gli organizzatori potenziali della guerra civile) ; la sua democrazia (anche se così tanto minacciata); quel poco di giustizia sociale che ancora resta (anche se così tanto offesa).
Tornando a Gramsci: è un “casamatta”, nella quale difenderci e dalla quale, appena possibile, riorganizzare la controffensiva.