«È un segnale positivo ma non basta». Dopo l’annuncio del fondo stanziato per pagare le lezioni dei ricercatori a tempo indeterminato, la rete dei precari dell’Ateneo di Bologna reclama parità di trattamento. E lo fa attraverso le parole di Francesca Ruocco, portavoce del loro Coordinamento Flc-Cgil, che chiede di non dimenticare «chi nell’Università sta vivendo una situazione drammatica,a causa di una legge che metterà alla porta migliaia di persone».
Martedì il Consiglio d’Amministrazione ha approvato lo stanziamento di quasi 1,5 milioni di euro per retribuire l’attività didattica dei ricercatori. Il pacchetto, già annunciato a dicembre e oggi reso operativo, prevede un pagamento di 1200 euro lordi per 60 ore di lezione. Ma solo per i ricercatori di ruolo. Per tutti gli altri, ossia più di 3000 persone in tutta l’Università bolognese, le prospettive sono ancora tutte da chiarire. Il rischio è che per la maggior parte di loro non ci siano i presupposti per la conferma dell’incarico.
«Con il blocco del turn-over e con l’introduzione della figura del ricercatore a termine previsti dalla legge Gelmini – spiega Francesca Ruocco – sarà molto difficile per noi riuscire conquistare una qualsiasi forma di stabilità lavorativa, e molti si troveranno per strada». Secondo la riforma infatti i ricercatori avranno contratti di tre anni, rinnovabili fino a 4 volte. «Se dopo 12 anni l’Università non ha i soldi per assumerti, meglio cercarsi un altrolavoro». Per questo la rete dei precari chiede all’Ateneo un impegno pari a quello dimostrato per i ricercatori di ruolo, con la garanzia di fondi per l’inserimento di almeno una parte di quelli a tempo determinato.
Punto dolente del rapporto con i vertici la questione della rappresentanza, a partire da quellaall’interno della commissione incaricata di scrivere il nuovo statuto dell’Ateneo. Dei 15 componenti, nessuno è ricercatore. «La commissione andava rieletta dopo l’approvazione della legge, per avere al suo interno tutte le rappresentanze». In assenza di una discussione continuativa all’interno del gruppo di lavoro per lo statuto, la Rete dei precari ha chiesto un’audizione con il rettore Ivano Dionigi, fissata per il 30 marzo. Ma non basta: «Sarebbe opportuno aprire un tavolo diconfronto che non sia solo uno scambio informativo come è stato finora, ma un reale momentodi contrattazione. Chiediamo che nel nuovo documento sia prevista una rappresentanza in tutti gli organismi principali, dal Senato Accademico alle scuole, e che vengano garantite risorse economiche e agevolazioni da cui finora siamo stati esclusi, come i rimborsi per gli spostamenti».
Attualmente chi fa ricerca con contratti a termine all’Alma Mater non gode di un salario minimo né di un fondo che possa coprire esigenze quotidiane ma primarie, come le spese per i pasti e peri trasporti. «L’Università deve programmare le risorse per estendere i diritti anche a noi, così da limitare gli effetti della legge Gelmini. Due generazioni rischiano l’espulsione dall’Università. A pagare saranno principalmente persone dai 35 ai 40 anni. Cosa faranno una volta fuori?»