Ovvio che gli avversari, il Pd su tutti, partono con un margine di vantaggio non indifferente. Ma anche in casa del partito di Bersani (ma anche dei D’Alema, Veltroni, Rosy Bindi e chi più ne ha più ne metta) le cose non vanno poi così bene. Il candidato sindaco è Virginio Merola. Ma il Pd ha presentato come numero uno della propria lista Maurizio Cevenini, mister preferenze. Cevenini per motivi di salute aveva rinunciato a correre alle primarie, ma da allora si è dato da fare come un matto, quasi fosse lui il candidato primo cittadino del partito. Il Pd spera che porti in dote i suoi quasi diecimila voti. Il segretario Raffaele Donini parla di “lista di combattimento” , ma in realtà l’elenco degli aspiranti consiglieri comunali è fatto quasi solo di uomini con tessera e militanza. Un po’ perché qualche esterno ha detto no a richieste (per altro blande) di fare da bandiera civica; molto, moltissimo perché ci sono posti limitati e tanti aspiranti da sistemare.
Per fortuna che tutti i partiti avevano giurato, proclamato, che sarebbe cambiato tutto. Un anno e più fa, quando Flavio Delbono finì sotto inchiesta (ha poi patteggiato una pena per peculato e truffa) e fu drammaticamente spazzato via dalla guida di Bologna, sinistra, destra, centri di ogni tipo avevano sbandierato un mutamento radicale del modo di fare politica e di essere presenti in città. Ma così non sarà.
Oggi, con gli stessi nomi e le stesse facce di prima, Bologna va alle elezioni quasi rimpiangendo che non resti il commissario, Anna Maria Cancellieri, Non perché sia amata, ma perché avrebbe continuato a funzionare come grande coperta di Linus. O da prigione dorata. A lei il mestiere di risolvere o non risolvere i problemi, agli altri uomini di partito il permesso di continuare il tran tran a cui sono abituati da anni. Tutti a brontolare. Tragico, molti a Bologna la vivono così.
A questo punto Virginio Merola è il vincitore più probabile. Anche se non esce dall’immagine dell’uomo di un partito incapace di pensare a qualsiasi rinnovamento al proprio interno e verso l’esterno, attento a contrattare tutto fra consanguinei, Idv in testa, ma anche Sel. Gli aspiranti candidati provenienti dalla società civile come Lorenzo Sassoli de’ Bianchi, padrone della Valsoia e presidente del Mambo, o Andrea Segrè, il biologo inventore del last minute food, hanno visto spezzata subito la loro convinzione di essere applauditi per i propri progetti e i volti diversi. Li ha cancellati un Pd non disposto a cedere la poltrona che potrebbe rilanciarlo, costretto a fare i conti con la perdita di potere e a concentrarsi sulla distribuzione dei posti solo fra i propri uomini. Per la necessità di molti di avere uno stipendio e un ruolo, ma anche per il rifiuto di tanti di “sporcarsi le mani” (Sartre), fare politica con un Pd che non piace.
Ma cosa ha portato il Pd a tutto questo? In realtà la prima candidatura, quella di Cevenini, è stato vissuta dal suo stesso partito come un possibile disastro (ha tanti voti da matrimoni, stadio, presenze ubique, simpatia, ma è considerato scarso in politica), quando è risultato chiaro che alle primarie avrebbe stravinto. Lui si è ritirato con un certificato di malattia. Ma il solo fatto che corresse e che tutti considerassero la sua una vittoria annunciata, ha spinto gli altri possibili candidati, dall’ex assessore regionale Duccio Campagnoli all’italianista Gian Mario Anselmi, a gettare la spugna
Così Merola, terzo alle primarie di Delbono, stavolta si è trovata la strada spianata, lui che fin dall’inizio aveva dichiarato di puntare sull’abbandono del favorito Cevenini. Adesso deve dimostrare di non essere una terza scelta, di non essere votato da gente che si tura il naso. Deve tenere i voti di partito e conquistare preferenze esterne. Ha vinto molto bene le primarie, però ha perso in tutta la Bologna borghese, quella dove sono meno le tessere e gli anziani, che ha preferito Amelia Frascaroli, spesso non conoscendola, però diffidando di Merola-uomo Pd.
Frascaroli, quella che era nelle primarie la candidata di Prodi, non ha accettato di entrare nella lista del Pd, non avvezza ai bilancini di partito. Farà una sua lista, di appoggio a Merola, e anche lì bisognerà vedere se manterrà i voti delle primarie.
La debolezza di Merola da una parte spinge il Pd ad arroccarsi, dall’altra ha aperto spiragli di speranza unita a stanchezza sia a sinistra che a destra. Prima il pressing (ben accetto) sulla commissaria Cancellieri perché si candidasse come civica-centrodestra, poi l’imprenditore Stefano Aldrovandi, che non è di destra né di sinistra. Ha amici più nel centro che nel centrodestra e ha fatto una cosa molto semplice: ha chiesto a chi avesse cosa da dire di farsi vivo. Hanno risposto personaggi diversissimi come il politologo Paolo Pombeni e i professori creativi Stefano Bonaga e Enrico Petazzoni e l’ex capo dell’Unipol, ma resuscitato con il Bologna Calcio, Gianni Consorte.
Se Aldrovandi arriva al ballottaggio sarà dura per Merola presentarla come destra contro sinistra. Il civico tenta di sparigliare le carte su tutti e due i fronti. Non lo aiuta un carisma assai relativo, per altro diffuso fra tutti gli aspiranti.
In compenso il centrodestra non esce dal vecchio schema di lottare al proprio interno in una lotta fra i soliti ras, piuttosto che organizzarsi per cercare di vincere. Prima ha pensato ad Anna Maria Bernini, già sconfitta in Regione, avvocata d’affari berlusconiana, poi a Filippo Berselli, vecchio capo Msi, già finiano, già candidato nel 1994, già sindaco a Montefiore Conca per dieci anni, sui colli riminesi, portata via ai comunisti . La Lega ha bloccato tutto, puntando e candidando Manes Bernardini che oggi ha ricevuto la benedizione ufficiale di Roberto Maroni. “Il nostro candidato è bravo, giovane, con idee innovative: puntiamo su di lui per vincere”, ha detto oggi Maroni. La Lega che vince (senza il Pdl) a Bologna? In realtà l’obiettivo è consacrare la presenza e la forza del Carroccio nell’ex città rossa, giusto per chiedere e ottenere qualche poltrona di prestigio. Chi ne esce massacrato da questa scelta è il Pdl che ora dovrà trovare un candidato suo, pronto anche a perdere la faccia una volta che si arriverà a scrutinare le schede.
Farebbero bene però, tutti, a non sottovalutare i grillini. Che in questo caos possono raggiungere obiettivi che ieri non erano neppure sperati. Il ballottaggio? Forse troppo, ma il centrodestra spaccato fornisce una notevole spinta a Massimo Bugani, l’unico che può dire veramente di essere un volto nuovo. Anche perché nel 2009 il movimento Cinque Stelle fece risultati da capogiro. Non dimentichiamolo. Chi dovesse sottovalutare Bugani commetterebbe un gravissimo errore. Ma non c’è da stupirsi: il polso della situazione, in questo momento, non ce l’ha nessuno.
Insomma, il caos non manca. Merola intanto ieri ha accelerato e presentato il suo programma. “Non dobbiamo partire da ciò che abbiamo, ma da ciò che vogliamo”, Dozza,1952, frase che Merola cita nel suo programma.
Cosa promette Virginio Merola? Per riassumere in poche righe le 23 pagine di proposte, sicuramente nella sua città ideale il primo posto va al welfare, all’ambiente, alla cultura. Strizza l’occhio in particolare alle donne e ai giovani, il candidato, con proposte come le quote rosa al 30 per cento nei consigli d’amministrazione delle partecipate e un “patto della città con Università e studenti”. L’obiettivo non nascosto è conquistare la fiducia degli astenuti, di chi alla politica non crede più. Se vi va tutto bene io non vado bene, recita lo slogan di Merola.