Certo, quando la parola “pacifista” diventa un insulto, c’è da preoccuparsi a prescindere. “I pacifondai sono ultrascemi”, tuonava quasi un secolo fa il buonanima, padre spirituale di La Russa e fisico, secondo taluni, di Bruno Vespa. Sappiamo tutti come andò a finire…
La guerra del resto, si sa, ci sono fiore di trattati psicoanalitici sull’argomento, eccita gli spiriti deboli e alimenta gli intelletti fiacchi, specie in un momento di grave crisi, non solo economica, come l’attuale. Un poveretto, sconvolto per il mio post di ieri (Una guerra contro la Costituzione italiana), dopo avermi dato per ben due volte del “mentecatto”, minaccia per ben due volte di disdire il suo abbonamento al Fatto se seguiteranno ad essere pubblicati interventi di tal genere, alla faccia del pluralismo democratico e della libertà di opinione, lussi che come è noto in guerra non ci si può permettere. Un altro buontempone mi accusa di essere più o meno il megafono di Gheddafi. Intelligenza con il nemico? Gheddafi non mi è mai stato simpatico. In Libia non sono mai stato, una volta che dovevo partecipare a un convegno a Bengasi, qualche anno fa, l’ambasciata a Roma mi rifiutò il visto perché sul mio passaporto era stampigliato quello israeliano, dopo che varie volte mi ero recato a Tel Aviv come osservatore al processo contro il leader di Fatah Marwan Barghouti.
Anch’io ho esultato quando c’è stata la ribellione in Libia. Ma questa ha assunto presto le caratteristiche di una guerra civile, che è cosa ben diversa da un’insurrezione. Tuttora una parte del paese è con Gheddafi, ci piaccia o no. Dovevamo allora assistere impotenti al massacro, come ripetono instancabilmente un po’ pappagallescamente i fautori della guerra? Assolutamente no, ci doveva essere ed è tuttora attuale l’impegno per un cessate il fuoco e un negoziato. La risoluzione n. 1973 è frutto a ben vedere di uno sforzo di mediazione fra chi seguita a propugnare questa via, un arco composito e plurale di forza che va dalla Russia alla Germania, dalla Cina all’India e al Brasile, e chi invece ha voluto approfittare dell’occasione per sfoggiare i propri muscoli militari, con l’occhio ben indirizzato a concupire le cospicue risorse petrolifere libiche. Sul campo, l’interpretazione che fa testo è quella operata con i fatti dai secondi e non si sa dove si andrà a finire….
L’art. 11 della Costituzione, con il suo ripudio della guerra, principio assolutamente prevalente su quello della cooperazione internazionale a parità di condizioni (e anche su quest’aspetto ci sarebbe molto da dire), non solo consente ma impone di non partecipare a operazioni che, per il loro carattere indiscriminato e prolungato, assumano non già i caratteri della polizia internazionale ma quelli ben noti della guerra. Ciò tanto più perché, come ricorda giustamente uno che la guerra l’ha fatta sul serio, Giorgio Bocca, l’Italia, dato il suo passato, farebbe meglio ad astenersi dall’intervenire militarmente in Libia in ogni modo.
I “pacifondai ultrascemi”, cui mi onoro di appartenere, devono continuare in questa difficile situazione a battersi per il cessate il fuoco e una soluzione politica, anche se questa sembra una trovata balorda ai “veri uomini” devastati culturalmente da vent’anni di berlusconismo e privi di memoria storica. A loro concediamo il lusso di imbarcarsi, come mosche cocchiere virtuali, sui Mirage di Sarko e i Cruise di Mrs. Clinton. Purché lo facciano a titolo personale e non come rappresentarsi di una nazione che continua a ripudiare la guerra e i profondi danni, non solo fisici, che quest’ultima reca con sé.