Germania, Cipro, Russia, Cina, Venezuela e Iran. E non solo. Anche Unione africana e Lega Araba esprimono condanna nei confronti dell’intervento armato contro la Libia iniziato ieri da Francia, Gran Bretagna, Usa, Spagna, Canada e Italia.

Il presidente greco-cipriota Demetris Christofias manifesta la sua contrarietà all’uso da parte della Gran Bretagna della base aerea di Akrotiri, di cui la Raf dispone sull’isola, per partecipare ai bombardamenti contro Gheddafi: “Alla Gran Bretagna abbiamo comunicato che non vogliamo le due basi siano utilizzate, perché noi siamo contrari”, afferma il leader greco-cipriota, sottolineando inoltre che dal vertice straordinario di ieri a Parigi, in cui è stato deciso l’attacco già autorizzato dall’Onu, non si è levata una voce unitaria dell’Unione Europea. “L’Unione non è unanime”, ricorda. “Potremmo non riuscire a raggiungere una posizione comune”. Immediata la replica del governo guidato da David Cameron: “Akrotiri, la più grande base aerea di cui Londra dispone al di fuori del territorio nazionale, non sarà impiegata direttamente per i raid, ma solo per attività di supporto logistico, come ricognizione e rifornimento, simili a quelle già effettuate per le operazioni umanitarie di evacuazione dei cittadini britannici e di Stati terzi dalla Libia”. Non esiste alcun piano, si è precisato, di “ospitarvi forze aeree di altri Paesi” né “di dispiegarvi caccia-bombardieri Typhoon o Tornado”.

La Russia non solo deplora l’intervento militare in Libia, ma arriva a chiedere il cessate il fuoco. Mosca, per voce del ministero degli esteri, pubblica una nota sul proprio sito web e delinea la propria posizione riguardo il conflitto libico. “Mosca – si legge nel testo firmato dal ministro Alexander Likashevich – accoglie con rammarico questa azione armata, intrapresa in concomitanza con l’approvazione frettolosa della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite” e ancora “chiediamo la fine immediata di questo bagno di sangue in Libia, per consentire l’avvio di un dialogo”. Dichiarazioni di rammarico che fanno il paio con quelle del governo cinese. Il ministro degli Esteri, Yang Jiechi, in una dichiarazione, ha ribadito “la ferma opposizione della Cina all’uso della forza in generale e in Libia in particolare, temendo perdite di vite umane” e aggiunge Yang “il governo cinese non concorda con il ricorso alla forza nelle relazioni internazionali”.

Pechino aveva già anticipato in sede Onu la sua posizione astenendosi sul voto durante il consiglio di sicurezza delle Organizzazioni unite sull’istituzione della No fly zone, affermando di avere “serie riserve” sulla bozza presentata da Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e Lega Araba. C’è da dire che la risoluzione 1973 tuttavia è passata anche perché la Cina e la Russia si sono astenute e non hanno esercitato il diritto di veto.

La Lega Araba però, pur avendo votato la risoluzione, assume una posizione di contrarietà rispetto “ai raid aerei della coalizione internazionale sulla Libia, che sono andati oltre il loro obiettivo”. Infatti,  secondo il segretario generale della Lega, Amr Mussa, invece “di imporre una no fly zone” la coalizione è andata oltre: “Quello che vogliamo è proteggere i civili, non bombardarne altri”, spiega Mussa. La risoluzione votata infatti, afferma il divieto di ogni tipo di “invasione e di occupazione – afferma ancora il segretario generale -. La protezione dei civili non richiede operazioni militari”. Per questi motivi, Mussa incontrerà domani mattina il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, che arriverà questa sera al Cairo. Nel pomeriggio invece, previsto per il segretario della Lega un meeting con il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, attesa per questa sera al Cairo. Possibile nelle prossime ore una riunione straordinaria della Lega.

Alle critiche della Lega Araba risponde un alto esponente dell’amministrazione Usa : “L’azione militare degli Stati Uniti e delle forze alleate in Libia è giustificata dalla risoluzione 1973 approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “La risoluzione fatta propria dagli arabi e dal Consiglio di Sicurezza fa riferimento a ‘tutte le misure necessarie’ atte a proteggere i civili, e ciò include ma va oltre la no fly zone”, spiega il funzionario a Rio de Janeiro durante la visita in Brasile del presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Ma un fermo no all’intervento militare in Libia contro il Rais arriva anche dall’Unione africana. Ieri attraverso il presidente mauritano Ould Abdel Aziz l’Ua così si era espresso: “Rifiutiamo ogni intervento militare straniero nel paese libico, quale che sia la forma. La situazione – continua – esige un’azione urgente per una soluzione africana alla gravissima crisi che sta attraversando questo paese fratello”.

Anche Teheran ribadisce di sostenere la rivolta contro Gheddafi in Libia e di essere dalla parte delle “legittime rivendicazioni” del popolo libico, pur esprimendo “dubbi” sulle reali intenzioni degli occidentali che hanno lanciato i loro attacchi. “La posizione della Repubblica islamica è sempre di sostegno ai popoli e alle loro legittime rivendicazioni”, dice il portavoce del ministero degli esteri Ramin Mehmanparast. Tuttavia, “il passato e l’azione dei Paesi dominatori (occidentali) per occupare il Paese oppresso mettono sempre in dubbio le loro vere intenzioni in questo tipo di azione. Questi Paesi – aggiunge Mehmanparast – in generale entrano in azione con slogan ingannevoli di sostegno al popolo mentre in realtà perseguono i loro interessi, e in particolare di stabilire basi militari per poter proseguire la loro politica colonialista e il loro dominio sotto nuove forme”.

Nota sin dall’inizio la posizione di cautela della Germania che oggi pur tornando a chiedere alla Libia di “rispettare la richiesta del cessate il fuoco fatta dalla comunità internazionale”, insiste, dall’altra parte, chiedendo “un rafforzamento delle sanzioni contro il regime di Muammar Gheddafi”, piuttosto che continuare con l’intervento armato. Il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, difende la decisione del governo tedesco di non partecipare all’operazione militare contro la Libia decisa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Le truppe americane potranno usare le basi tedesche “ma le Forze Armate tedesche non verranno mandate in Libia”. La Germania, da parte sua, fornirà aiuti umanitari per cinque milioni di euro destinati alle popolazioni che si trovano ai confini libici.

Punta il dito contro “la follia imperialista” il presidente venezuelano Hugo Chavez: “Chiediamo che cessi l’aggressione contro la Libia e contro qualunque popolo del mondo”, dichiara Chavez, che aggiunge: “Né gli Stati Uniti, né la Francia, né l’Inghilterra, nessuno di questi paesi ha diritto di lanciare bombe a qualcun altro. Che follia è? E’ la follia imperialista”. Lo scorso 13 marzo il leader venezuelano aveva elogiato la posizione di Germania, Russia e Cina, contrarie a un’intervento militare in Libia, criticando duramente Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Olanda, colpevoli a suo dire di correre “senza freni” verso la guerra.

Infine, un gruppo di membri del comitato dell’Unione africana che dovevano recarsi oggi in Libia per ribadire “l’immediata cessazione di tutte le ostilità”, non hanno ricevuto i permessi necessari per entrare a Tripoli. Oggi il comitato dell’Unione  riunito a Nouakchott ha chiesto un “appoggio senza riserve ai suoi sforzi” sottolineando la “necessità di un’azione africana urgente” per risolvere la crisi libica. Il comitato – composto da Mauritania, Mali, Congo, Sudafrica e Uganda – ha proposto una riunione, il 25 marzo ad Addis Abeba, con la Lega Araba, l’Organizzazione della Conferenza islamica (Oci), l’Unione europea e le Nazioni unite. L’obiettivo è quello di “creare un meccanismo di consultazione permanente e di azione concertata” per risolverela crisi libica. In un comunicato diffuso al termine della riunione, il comunicato ha chiesto inoltre “la protezione dei cittadini stranieri compresi i lavoratori migranti africani che vivono in Libia”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Crisi libica, l’incognita
delle “ritorsioni” contro l’Italia

next
Articolo Successivo

La fine della sovranità italiana

next