Sovente, e ahinoi ultimamente sempre, si sospetta che dietro una guerra ci sia il petrolio. Ma le guerre non si fanno per “prendersi il petrolio” tout court: quasi sempre si può ottenerlo comodamente firmando un accordo e con una stretta di mano. Chi ha il petrolio ha infatti bisogno di venderlo. Certo, l’aumento della domanda e la diminuzione della risorsa hanno condotto a un mercato del venditore, anziché del compratore, ma l’obiettivo di entrambi resta il medesimo.
Il problema quindi non è “prendersi i pozzi”, ma ottenere accordi molto favorevoli. Il che non sempre è possibile, specialmente quando il Paese produttore ha una forte compagnia nazionale oppure delle leggi che non consentono a compagnie straniere di fare il bello e il cattivo tempo. Alcuni esempi? L’Iraq di Saddam, a cui dopo la guerra fu imposta la molto discussa legge per il petrolio, che in pratica toglieva al popolo iracheno la sovranità sul proprio sottosuolo; il Venezuela di Chávez, o la Libia di Gheddafi.
Quest’ultima, attraverso la compagnia nazionale Noc, ha un sistema di accordi diverso da quelli in uso nel resto del mondo. L’accordo Epsa, che molte compagnie stipulano in LIbia, non prevede royalties, divisione delle spese operative, tasse: nulla di tutto ciò. Più semplicemente, il governo prende la sua parte dalla produzione lorda. Le compagnie operano a proprie spese, non pagano tasse né diritti, e dividono con la Libia la produzione. Ma non pensate che si tratti di un fifty-fifty, neanche per sogno.
E proprio a fagiolo casca l’Eni, che se ne sta a trivellare in Libia da prima di Gheddafi e che ha sempre rappresentato un po’ la pietra dello scandalo. E forse anche la goccia che ha fatto traboccare il vaso, pensando agli eventi odierni. Per capire com’è andata questa questione in Libia ci viene in aiuto Wikileaks, con alcuni documenti classificati.
17-06-2008: “Esteso l’accordo per gas e petrolio con l’Eni, le altre compagnie si preoccupano che i termini dell’accordo stabiliscano uno sfavorevole precedente”. Forse lo ricorderete, se ne parlò molto: succede, nel 2008, che la Libia estende per altri 25 anni i diritti di sfruttamento Eni. “Con il nuovo contratto, Epsa IV, l’Eni riduce la sua percentuale di produzione al 12% per il petrolio (dal precedente 35-50%) e al 40% per il gas”. Continua il cablo Wikileaks: “L’impatto potenziale di questo accordo Eni è significativo. Osservatori locali si aspettano che il successo della Noc nell’assicurarsi termini così favorevoli la convincerà a rinegoziare i contratti esistenti con le altre compagnie internazionali. Il succo è: lamentano che l’Eni operi in Libia per un tozzo di pane. Facendo concorrenza alle altre compagnie che saranno costrette anch’esse, dalla potente compagnia libica, a lavorare con compensi da cinesi.
E infatti, ecco che la Noc prende per il collo anche le altre compagnie.
23-07-2008: “Con il nuovo accordo, lo share di produzione per il consorzio europeo (quello che sviluppa il bacino di Marzuq, ndr) sarà ridotto dal 25% al 13%. Repsol, Omv, Total e Saga Petroleum hanno seguito altri maggiori attori in Libia nel cedere alle pressioni Noc verso il nuovo accordo Epsa IV, che prevede significative riduzioni di share per le compagnie internazionali. E se qualcuno dubita, ecco pronto un cablo in cui ci si lamenta proprio della della rigidità della Noc, e specialmente della gestione autocratica del responsabile Shukri Ghanem. Il quale, appena lo scorso anno, ha annunciato di voler estendere il fatidico accordo Epsa IV anche alle compagnie che finora hanno goduto di concessioni tradizionali. “Ci sono molti modi di spellare un gatto“, ha osservato.
Più che gli accordi-capestro, allora, è questa metafora che non deve essere proprio andata giù alle compagnie internazionali. Con le conseguenze del caso.