Il mercato Ortofrutticolo di Milano

“Il lavoro è potere”, dice un imprenditore affiliato alla ‘ndrangheta in un’intercettazione telefonica riportata da Anna Canepa, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia. Ieri il magistrato, che per anni ha condotto inchieste sulle cosche attive in Liguria, ha partecipato tra gli altri alla fondazione dell’Osservatorio sociale sulle mafie in Lombardia, voluto dalla Cgil con il contributo di Libera, Arci e Legambiente con l’obiettivo di “ascoltare il lavoro nella lotta alle mafie”.

Per il battesimo dell’osservatorio è stato scelto un luogo simbolo, quell’ortomercato alla periferia sud-est di Milano che è stata una delle piazze in cui la ‘ndrangheta ha compiuto molti dei suoi affari, controllando ampi settori della filiera agroalimentare. Con 813mila metri quadrati per un milione di tonnellate di ortofrutta all’anno trattate da 400 aziende, l’ortomercato, oltre a essere una delle arterie principali dell’economia della città è stato per anni al centro di indagini giudiziarie. Dalla scoperta, nel 1994, di mitragliatrici e bombe a mano appartenute a un clan di narcotrafficanti, fino al tir carico di eroina bloccato dalla Guardia di finanza nel 2002, per arrivare al processo scaturito dall’operazione “For a King” del 2007, che vide coinvolti imprenditori, i vertici del clan Morabito e si è poi concluso con decine di condanne.

Oggi la Cgil riparte da lì promuovendo un osservatorio per mettere a fuoco l’illegalità e svelare la dimensione e il radicamento del fenomeno mafioso con indagini quantitative e qualitative. “Non un apparato per la convegnistica – chiarisce il segretario della Cgil milanese Onorio Rosati – ma una piattaforma per lavorare meglio al contrasto dell’infiltrazione delle mafie nel lavoro, anche per fornire strumenti nuovi alla magistratura”.

L’osservatorio si nutrirà del contributo della società per accumulare denunce, inchieste, numeri e orientamenti utili a costruire una mappatura dell’infiltrazione delle mafie nel tessuto economico della Lombardia. C’è già uno statuto, un direttivo e un comitato scientifico, e in cantiere anche delle proposte legislative.

“Vero obiettivo dell’osservatorio è riconquistare il valore dell’inchiesta sociale – spiega l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione – anche per aiutare gli imprenditori a uscire dall’omertà, ormai così radicata anche al nord. In tribunale molti impresari negano il pagamento del pizzo, anche quando le telecamere svelano il contrario. L’osservatorio deve essere uno strumento di analisi delle trasformazioni economiche e sociali del sistema imprenditoriale, fondamentale per riconoscere le mafie”.

Carlo Smuraglia, ex parlamentare e oggi docente di diritto del lavoro, sul finire degli anni ’70 provò a istituire un comitato antimafia al Comune di Milano. Allora la ‘ndrangheta stava abbandonando la stagione dei sequestri di persona e cominciava a mettere le mani sui primi affari. Purtroppo l’esperienza del comitato non durò molto. “Ci ostacolavano in tutti i modi, c’era la tendenza a minimizzare. Ma già trent’anni fa le cosche agivano facendo leva sui bisogni delle fasce sociali più deboli e basando le loro attività su lavoro nero e caporalato. E la svolta imprenditoriale di questi anni era prevedibile, complice anche il silenzio delle banche che non denunciavano le irregolarità, anche se la legge glielo imponeva”.

Il nuovo strumento potrebbe essere d’aiuto anche all’autorità giudiziaria, e a riconoscerlo è la stessa Anna Canepa, pubblico ministero in forza alla DNA. “Potrebbe aiutare a definire la mafiosità di singoli reati – spiega Canepa – che spesso sono considerati esterni alla criminalità organizzata. Ad esempio, a Genova, abbiamo avuto molte difficoltà nell’applicazione del 416/bis proprio perché non si è voluto riconoscere un giusto inquadramento e collegamento a reati collaterali come usura, estorsione e danneggiamento”.

Oggi che le mafie sono dentro le imprese, investono, riciclano, fanno affari in tutto il mondo per complessivi 120 miliardi di euro all’anno (dati DIA), mentre i beni confiscati sono appena il 3,8% del totale, la lotta dello Stato va allargata di più anche al fronte economico. Più e oltre di ciò che si sta facendo, e con nuovi strumenti, oltre a quelli già in campo. La repressione poliziesca non può bastare perché “dopo i boss di oggi verranno i figli dei boss, i nipoti, ci saranno nuovi imprenditori complici e altri spaventati” sottolinea Francesco Forgione. Un fronte comune nella lotta dovrebbe essere scontato, oltre che necessario, eppure non è passato molto tempo da quando il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi disse che in città e in Lombardia “la mafia non esiste”.

La storia, però, rivela il contrario.

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