Non bastano i Minzolini, i Ferrara, i Vespa, i Fede, i Signorini, i Belpietro. Per controllare veramente l’informazione qualcuno deve aver spiegato a Berlusconi che occorre mettere le mani su internet. Con i dati che segnano una crescita esponenziale degli utenti che navigano, ma soprattutto di quelli che s’informano in rete, bisognava correre ai ripari. Ma come? Non siamo mica in Iran o in Cina, dove si possono censurare i blog e i siti contrari al regime senza doverne poi rispondere.
A risolvere l’inconveniente ci ha pensato Romani, l’ex imprenditore tv promosso a ministro dello Sviluppo economico: basta prendere una scusa qualsiasi, come il sospetto della violazione del copyright, e un organo amministrativo di nomina politica, come l’Agcom, ed ecco che viene sfornata una delibera che permette di chiudere l’accesso a interi siti internet stranieri in modo arbitrario e senza il controllo del giudice! Vi sembra impossibile? Una roba da dittatura? E’ quello che potrebbe succedere a giorni, se i membri dell’Autorità per le comunicazioni dovessero votare favorevolmente alla delibera 668 del 2010. In pratica l’Agcom, delegata dal ministro Romani in persona, avrebbe il compito di spulciare tutti i siti internet. Trovata la violazione del copyright, e cioè una canzone pubblicata su un blog, oppure un testo di una poesia, o un software libero, sempre l’Agcom avrebbe il compito di rimuovere il contenuto dal sito internet, se italiano, oppure di chiudere interamente i siti, se posti fuori dal territorio italiano. E qui si sta parlando di siti internet come WikiLeaks, YouTube o The Economist. Non male come misura a propria disposizione per uno come Berlusconi, che viene criticato dai media stranieri un giorno sì e l’altro pure, non trovate?
Avaaz.org ha rilanciato la denuncia che da mesi Agorà digitale, Altroconsumo e altre associazioni del settore vanno facendo sul pericolo di una delibera del genere, e nel giro di 24 ore ha consentito a quasi 30.000 cittadini italiani d’inondare le caselle e-mail di tutti i membri dell’Agcom per chiedere loro di respingere la delibera e di rimettere la discussione nelle mani del Parlamento, l’unico organo che dovrebbe legiferare in materia. Il tempo rimasto è poco, perché il periodo delle consultazioni sta per finire e in qualunque momento la nuova delibera potrebbe essere messa ai voti e passare. Alcuni membri dell’Agcom hanno già reso pubblico il loro dissenso, mentre alcuni parlamentari del Pdl hanno chiesto attraverso un’interpellanza che sia il Parlamento e non l’Agcom a trattare il delicato equilibrio fra diritto d’autore e libertà della rete.
Considerato che internet è l’unico strumento in questo paese che ci permette di respirare un po’, e non solo per reperire informazioni e conseguentemente indignarci, ma anche per organizzarci e mobilitarci di fronte a episodi di corruzione e di malapolitica, consiglierei di fare come in Gran Bretagna, dove il governo ha provato a mettere il bavaglio a internet utilizzando la scusa del copyright, ma ha dovuto subito rimangiarsi tutto, perché i cittadini erano pronti sulle barricate. Ecco, se non vogliamo che ci portino via pure internet, diamoci da fare.