Un bel sollievo per il premier che, dopo aver visto riconosciuto in Cassazione la responsabilità di Mills come corrotto, temeva di essere condannato quantomeno in primo grado. Ma questo non è l’unico colpo che la maggioranza sta per mettere a segno. Le grandi manovre proseguono anche sul nucleare. Domani, infatti, il Consiglio dei ministri si troverà sul tavolo un decreto legislativo bollente: il via alla localizzazione dei siti su cui costruire le future centrali nucleari italiane.
Si tratta di un provvedimento dove sono elencati una serie di siti, più di uno per Regione, dove un’apposita commissione del ministero dello Sviluppo economico ha dato il proprio parere positivo per la costruzione di nuove centrali. L’elenco, secondo la legge, dovrebbe essere discusso con le Regioni, ma si tratta comunque di un parere consultivo. Di fatto, una volta approvato, il decreto rappresenterebbe il primo passo concreto verso la costruzione di nuove centrali in Italia, ma le polemiche dei giorni scorsi e soprattutto dei sondaggi devastanti (l’89% degli italiani preferisce le energie rinnovabili e voterebbe a favore del referendum) starebbero inducendo Silvio Berlusconi ad un passo indietro, una moratoria di un anno per aprire una “riflessione” più ampia sulle scelte da fare. E prendere tempo anche per abbassare l’attenzione sul tema in vista del referendum di giugno. “Delle due l’una”, dice Antonio Di Pietro. “O il governo cancella la norma che consente la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano o la mantiene. Ma la moratoria di un anno è un chiaro raggiro che serve a scavallare la data del referendum”, aggiunge. “Insomma, l’unico vero scopo del governo è quello di fermare il temuto verdetto dei cittadini”.
La moratoria sul nucleare, in verità, serve al governo per prendere tempo anche su un altro fronte. Un problema di politica economica e di accordo internazionali. Di mezzo ci sono sempre i francesi, con cui nelle ultime ore i rapporti si sono fatti più tesi per via delle continue prese di distanza anche dello stesso Cavaliere sulla campagna di Libia. La moratoria, in sostanza, serve anche a raffreddare (ma non a chiudere) quegli accordi siglati dall’Eni (ma non solo) per la fornitura di energia elettrica a prezzi di favore in cambio di una futura utilizzazione della tecnologia d’oltralpe nella costruzione delle centrali nucleari italiane.
Al Governo la cautela, in queste ore, sembra comunque la parola d’ordine. Soprattutto dopo che dalla commissione Affari costituzionali del Senato è arrivato un segnale politico inequivocabile su quanto il tema del nucleare sarebbe devastante per la coesione della stessa maggioranza. Ieri pomeriggio, infatti, la commissione non ha espresso il proprio parere sul decreto legislativo sulla localizzazione dei siti, come richiesto dalla commissione Industria, e la votazione finale sul parere positivo del relatore del Pdl è finita 9 a 9, dunque è stata respinta. Un voto che ha convinto il ministro Paolo Romani a dare per scontata la scelta per la moratoria in Consiglio dei ministri di domani mattina, perché i sondaggi (e il voto ballerino di alcuni parlamentari di maggioranza) spaventano molto di più di quanto avvenuto in Giappone.
Nessuna “moratoria” invece, come abbiamo visto, sul fronte della giustizia “ad personam”. I processi avanzano, le aule di tribunali reclamano la presenza di Berlusconi e si avvicina il sei aprile, quando a Milano inizierà il processo al premier per concussione e prostituzione minorile in relazione al caso Ruby. Tra escort, modelle, “bambole” di via Olgettina e varia umanità finita nelle carte, sfilerà davanti ai giudici il Presidente del Consiglio. O almeno dovrebbe. Ma nella norma sul processo breve, oggi discussa in commissione, avanza la prescrizione “ad hoc”. Per quanto rivista e corretta dalla maggioranza, ha ancora quel “trucco modesto”, come lo definisce Pierluigi Mantini dell’Udc, di “un favore” al premier. La norma contiene una distinzione “irragionevole” si tratta di un piccolo, preciso, chirurgico, beneficio per “un processo del presidente del Consiglio”: riconosce dei privilegi agli incensurati, ai signori con più di 65 anni. Non solo, ma le disposizioni non si applicano ai procedimenti per cui è stata già pronunciata sentenza di primo grado. Insomma, per dirla con Di Pietro, “basta tirarla alla lunga per non farsi processare”.
Il processo Mills, che vede coinvolto Berlusconi, secondo i calcoli della maggioranza finirebbe in prescrizione. Per un calcolo semplicissimo: attualmente la massima durata è pari alla pena massima prevista per il reato e viene aumentato di un quarto per effetto delle interruzioni. Per il reato di corruzione in atti giudiziari la prescrizione è fissata in dieci anni: la pena massima è infatti di otto anni. Il relatore dell’emendamento, Maurizio Paniz, sostiene che la norma non possa essere applicata ai processi già in corso, ma Luigi Li Gotti della commissione giustizia in Senato spiega che in realtà “chi dice una cosa del genere è quanto meno un ignorante visto che la prescrizione è una norma cosiddetta sostanziale di diritto penale e non di procedura. E quindi, per regola generale codicistica, all’imputato si applica sempre, nella successione di legge nel tempo, quella più favorevole. E dato che non è credibile che si tratti di ignoranza, questa non può che essere malafede”. Solo di qualche deputato della maggioranza che agisce sicuramente a insaputa del premier. Il cinque marzo scorso Berlusconi aveva garantito: “La prescrizione breve sarà ritirata”. Oggi intanto è stata approvata in commissione.
di Sara Nicoli e Davide Vecchi