La breve battaglia per il controllo di Parmalat sembra ormai vinta dai francesi e sul terreno rimangono i resti dell’embrione della cordata tricolore che si era cercato di allestire in tutta fretta. Ma, soprattutto, sul campo cade il sistema Italia, industriale, finanziario, ma soprattutto governativo, vittima della propria mancanza di unità e tempismo più che della forza del nemico. Inutile la voce del governo nei giorni scorsi (“Parmalat resterà in mani italiane”) quando ormai il colosso Lactalis, una delle aziendi più forti al mondo nel settore dei latticini, aveva già iniziato la scalata. E’ l’ennesimo fallimento di un governo che, causa il lavoro attorno ai processi di Berlusconi, resta disattento su tutte le altre vicende.
Il ministro allo Sviluppo Paolo Romani ha fatto capire che nelle prossime ore cercherà di fare il tutto e per tutto per strappare l’azienda di Collecchio ai cugini francesi, ma sembra un’impresa ardua e difficile. Qualcosa poteva essere fatto, forse. Ma prima. Oggi si rischierebbe di fare peggio. Una sconfitta sonora, soprattutto visto i precedenti: Parmalat non solo è un colosso, ma è sopravvissuta al disastro fatto da Calisto Tanzi grazie ai poveri risparmiatori italiani.
Gli appelli provenienti da quasi tutto il mondo politico, sindacale e istituzionale, la discesa in campo esplicita di un soggetto prestigioso come Intesa Sanpaolo e la pressione del governo, non sono riusciti infatti a evitare la mossa dei francesi su una delle poche grandi società nazionali contendibili e non controllate da una famiglia, da un patto di sindacato o da un’azionista pubblico e che possa esibire conti in attivo. Solo un intervento industriale e finanziario di vasta portata, e un’azione forte dell’esecutivo potrebbero rovesciare la situazione. Granarolo e Ferrero rinnovano il loro interesse per una cordata italiana ma in pochi ora sembrano crederci, primo fra tutti il mercato.
La sensazione, si ragiona negli ambienti finanziari, è infatti che ci sia mossi in maniera tardiva e a volte contraddittoria di fronte a un’offerta lineare come quella francese che mette sul piatto denaro contante e una prospettiva industriale indubbiamente solida. Un’offerta transalpina che mira a tagliare il nodo gordiano del futuro della società di Collecchio, fino a ieri al bivio nell’utilizzo della forte liquidità di 1,4 miliardi accumulata dal risanatore Enrico Bondi.
Di fronte al rischio che i fondi esteri (azionisti con il 15%) potessero dividersi questo tesoretto, nonostante questi assicurassero di volerlo usare per un’espansione internazionale, la politica italiana ha imposto a fine anno con il Milleproroghe un provvedimento ad hoc per vietare di distribuire oltre il 50% degli utili. Quindi Intesa Sanpaolo e Mediobanca, che al principio si muovevano in maniera più defilata e non ostile ai fondi, hanno lavorato febbrilmente a soluzioni alternative, dapprima sondando l’intervento del fondo Charme di Montezemolo, poi con il rispolverare della fusione con Granarolo e all’ultimo minuto lavorando a un’ipotesi Ferrero.
Nemmeno la discesa in campo diretta di Intesa Sanpaolo, con la presentazione di una lista per il cda capeggiata da Bondi, alternativa a quella dei fondi che pure annoverava nomi di peso come Rainer Masera, è riuscita allo scopo. Intanto in Borsa la caccia alle azioni Parmalat si scatenava con rastrellamenti su larga scala. Per questo davanti ai 750 milioni di euro offerti sull’unghia dai francesi di Lactalis, che nel frattempo avevano acquistato il 13% di Parmalat, i fondi che sono pur sempre degli investitori interessati al ritorno economico, non hanno avuto esitazioni.
Fin qui i fatti, ma sulle cause del fallimento le opinioni si dividono fra chi denuncia la mancanza di capitali e di coraggio degli industriali italiani, chi mette sotto accusa la onnipresente regia del sistema bancario italiano e chi rileva come la politica e il governo si siano mossi troppo poco e troppo tardi a difesa di un settore, come quello agroalimentare che rappresenta una punta di lancia del Made in Italy.
E che di responsabilità politiche si sia trattato lo dice anche il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan: “La vicenda economica finanziaria relativa alla cosiddetta scalata per il controllo di Parmalat si fa di ora in ora sempre più preoccupante per il sistema agroindustriale italiano. Da quando sono ministro delle Politiche agricole ho più volte denunciato l’assenza nel nostro Paese di una qualche forma di autentica e riconosciuta centralità dell’universo dell’agricoltura. Un’assenza e quindi una debolezza di cui la politica e le sue istituzioni non si sono volute far carico. L’affannosa ma inutile rincorsa di chi ha proposto una qualche soluzione a favore di una cordata italiana ne è la conferma”, afferma Galan. “Nella speranza che nelle prossime ore giungano buone notizie, – conclude il ministro – ribadisco la necessità e l’urgenza di riconsiderare gli attuali limiti politico-istituzionali in cui è costretto a muoversi un Ministero come quello di cui ho la responsabilità in simili frangenti”.
”Bisogna fermare questo continuo e pericoloso shopping ai danni delle imprese italiane. Non possiamo assistere impassibili alle scalate dei gruppi industriali stranieri senza che nessuno dica niente o muova un dito”, ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. “Il Governo, l’opposizione e tutte le istituzioni del nostro Paese hanno il dovere di trovare una soluzione per difendere le produzioni nazionali e gli interessi collettivi nazionali”.