Spesso ci si focalizza troppo sulla fattibilità economica dei vari metodi di produzione di energia mancando completamente il quadro generale. Si discute se l’eolico sia più o meno costoso del nucleare, ma ci si dimentica di chiedersi quanto vento c’è per far girare le pale e quanto uranio è rimasto sulla terra. Lasciamo quindi da parte per un attimo le considerazioni economiche: il costo di produzione di un kWh (kilowattora) varia a seconda del luogo, della legislazione, delle condizioni geopolitiche, del mercato, della maturità di una tecnologia e così via. Dobbiamo invece porci una domanda più fondamentale: le limitazioni intrinseche (le leggi fisiche ad esempio, o la superficie disponibile in un paese) quali restrizioni impongono ai vari modi di produrre energia? In altre parole, anche ammettendo che produrre un kWh di energia eolica o solare sia gratis, quanta energia al massimo posso sperare di produrre?
Il progresso tecnologico e le diverse condizioni di mercato possono rendere competitiva una tecnologia di produzione energetica, ma non possono oltrepassare le leggi di natura: anche aumentando l’efficienza odierna dei pannelli solari non si può aumentare la quantità di energia solare che cade su un metro quadro. La turbina eolica più efficiente dipende comunque dalla velocità e dalla disponibilità del vento, e così via.
David MacKay è un fisico dell’Università di Cambridge. Irritato dalla vaghezza numerica e dalla mancanza di punti fermi che spesso contraddistinguono le discussioni pubbliche sull’energia, MacKay si è seduto al tavolino e, armato delle leggi della fisica, ha stimato il potenziale teorico di tutte le principali fonti energetiche rinnovabili. Raramente discorsi quantitativi e ricchi di numeri arrivano sui giornali o sui media, che spesso danno più risalto a intellettuali e filosofi come Serge Latouche, il teorico della “decrescita”. Discutendo di energia e di consumi è invece obbligatorio partire dai numeri e dai dati accertati. Considerazioni, politiche, economiche, sociali etc., non possono prescindere dai fatti e dalle leggi fisiche che, volenti o nolenti, regolano questo universo.
MacKay ha messo nero su bianco le sue stime (Sustainable Energy – Without the Hot Air; UIT Cambridge 2008) e il suo libro (anche scaricabile liberamente all’indirizzo http://www.withouthotair.com) sta cambiando il modo con cui si discute di questi temi, almeno in Gran Bretagna. MacKay è stato nominato recentemente Chief scientific advisor del dipartimento dell’energia e del cambiamento climatico del governo Britannico con il compito di affinare le sue stime per costruire una percorso verso il cambiamento energetico della Gran Bretagna entro il 2050.
Unità e consumi
È molto difficile per il cittadino padroneggiare i numeri dell’energia senza avere dimestichezza con le varie unità di misura. Purtroppo misuriamo il petrolio in barili, la benzina in litri, le centrali elettriche in megawatt, ma tutte queste unità sono lontane dal quotidiano, dai nostri consumi e dai nostri sprechi. MacKay usa un’unica unità di potenza “a misura d’uomo” per parlare di produzione o consumi energetici: il kilowattora per giorno per persona (kWh/d per persona).Il cittadino europeo medio consuma 125 kWh/d. Possiamo visualizzare questo consumo “personale” in termini di lampadine: è come se ognuno di noi tenesse accese 125 lampadine per 24 ore al giorno. L’americano medio consuma il doppio: 250 kWh/d mentre il consumo energetico medio di un essere umano sulla terra è di 56 kWh/d.
Rinnovabili
Le fonti rinnovabili hanno solitamente una bassa densità per area. In altre parole hanno bisogno di grandi superfici per poter ricavare grandi quantità di energia. MacKay analizza il fotovoltaico, i biocarburanti, le maree, il nucleare, il solare termico, l’idroelettrico, l’eolico, il geotermico e così via, e per ognuno stima la potenza prodotta in watt per metro quadro di superficie utilizzata. E questo perché è difficile, per non dire impossibile, parlare di “sostenibilità” e di “autosufficienza” se non si mettono sul tavolo i numeri in gioco. Consideriamo ad esempio l’energia eolica. Parchi eolici in zone ventose producono 2 watt per metro quadro. MacKay calcola che se, realisticamente, si coprisse anche il 10% della superficie britannica, l’eolico non fornirebbe più di 20 kWh/d: un sesto del consumo energetico medio attuale.
Le coltivazioni per biocarburanti forniscono 0,5 watt per metro quadro. Se tutta la superficie britannica ora dedita ad agricoltura (il 75% del totale) venisse sfruttata per produrre biomassa combustibile, otterremmo 24 kWh/d. Ben lontani dai 125 kWh/d. E non dimentichiamoci che dobbiamo pure produrre mele e zucchine! Con il fotovoltaico non siamo messi meglio, e MacKay mostra come riempire i tetti delle abitazioni di pannelli può certo fornire una percentuale importante del proprio consumo personale di energia elettrica, ma per incidere sul consumo energetico totale è necessario un utilizzo su larga scala di campi solari.
Implacabili i numeri mostrano come al livello attuale di consumi anche sommando eolico, solare, biocarburanti, idroelettrico e altre fonti rinnovabili non è possibile sostituire i combustibili fossili. E che in ogni tipo di opzione le rinnovabili debbano occupare una frazione significativa della superficie di un paese come la gran Bretagna. E questo senza neppure considerare i costi economici. Le alternative puramente numeriche sono quella di ridurre notevolmente i consumi, oppure di utilizzare fonti energetiche con una alta densità di energia per metro quadro, come le centrali nucleari. I paesi ricchi potranno comperare energia prodotta all’estero, magari in un deserto dove si possono produrre fino a 20 watt per metro quadro.
I consumi
MacKay non si limita a sfatare alcuni miti e a riportare sulla terra le discussioni a ruota libera sul futuro energetico, ma offre anche dei suggerimenti e delle possibili soluzioni. Uno ovvio è quello di ridurre i consumi poiché è più facile risparmiare un kWh che generarne uno. Prendendo però di mira i settori che più contribuiscono e non perdendosi in mille rivoli inconcludenti. Preoccuparsi di tutti gli apparecchi in standby della casa può portare ad una riduzione dell’8% del consumo elettrico casalingo (fonte IEA) ma non certo un contributo significativo rispetto al totale. È come pretendere di svuotare il Titanic con un cucchiaino. In Gran Bretagna ben 40 kWh/d di quei 125 kWh/d sono attribuibili al trasporto su auto e altri 40 kWh/d al riscaldamento. È qui che ha senso cercare di aggredire i consumi energetici, non certo con l’autoproduzione del burro o del sapone. L’elettrificazione di tutti i trasporti ridurrebbe le emissioni di CO2 aumentando l’efficienza. Le auto elettriche moderne consumano 15 kWh per 100 km, mentre le auto a benzina dai 70 ai 90 kWh. Un treno ad alta velocità invece è efficientissimo: consuma solo 3 kWh per passeggero, “solo” il triplo di una bicicletta con il suo singolo kilowattora.Per il riscaldamento degli edifici, a supplemento del solare termico, MacKay suggerisce un uso massiccio delle pompe di calore, anche queste funzionanti a elettricità, oltre alle misure per ridurre la dispersione termica.
MacKay non propende per nessuna tecnologia in particolare, ma sostiene che, con i numeri sul tavolo, ogni paese deve disegnare un piano energetico che copra totalmente i bisogni. A chi lo accusa di essere pro-nucleare lui risponde che è solo pro-aritmetica, e che i numeri parlano da soli. Le sue stime possono essere rese più precise, ma il vero valore di questo approccio è nel mostrare un metodo per le discussioni pubbliche sulle scelte energetiche. “Numeri, non aggettivi” dice MacKay. “Qualsiasi discussione sensata sull’energia richiede dei numeri”. In Italia avremmo un gran bisogno di un approccio così. C’è qualche fisico che voglia adattare il libro di MacKay alla situazione italiana?
Saturno, Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2011