“In Libia si rischia lo stallo. E da uno stallo poi si esce solo con l’intervento via terra”. E’ l’opinione di Franco Apicella, generale dell’Esercito italiano non più in servizio. “Anche se ora si parla di no fly zone o assistenza alla popolazione, quella in corso è già una guerra. Mirata alla neutralizzazione delle difese aeree di Gheddafi, in un primo momento, e poi alla neutralizzazione del suo potenziale logistico convenzionale, gli schieramenti di unità sul terreno”.
Generale, quali sono le difficoltà più immediate causate da un coordinamento delle operazioni, per così dire, acefalo?
Non vedo tanto una difficoltà nel coordinamento immediato, quanto piuttosto nella prosecuzione delle attività militari: la cosa a cui si andrà incontro sarà molto probabilmente una situazione di stallo. Gheddafi sul terreno è ancora in grado di muoversi, organizzarsi e resistere. Gli insorti invece hanno capacità operative limitate rispetto a quelle dell’esercito. E le forze della coalizione, penso a quelle francesi in particolari, dovranno cercare di evitare i danni collaterali. La situazione più rischiosa dal punto di vista tecnico militare è proprio questa, quella di stallo, da cui non si esce finché non si va sul terreno, ma questo la risoluzione Onu 1973 lo proibisce.
Potrebbe arrivare una nuova risoluzione?
Al momento mi sembra difficile che possa esserne varata una più pesante di quella attuale, che già è passata a malapena. Russia e Cina ora sono pure pentite di non aver votato contro.
Ora ci sono tre comandi separati: Inghilterra, Stati Uniti e Francia. Frattini dice che se non si va sotto il cappello della Nato, creeremo anche noi un comando separato.
Al di là delle questioni politiche, dal punto di vista meramente tecnico-militare un coordinamento in qualche modo c’è, perché altrimenti non sarebbe possibile far volare gli aerei. Questo coordinamento per forza di cose viene realizzato utilizzando le strutture portanti degli Usa e della Nato. Parlo degli aerei Awacs che danno l’esatta riproduzione di quello che c’è sul terreno, senza di cui non si va da nessuna parte. Restano poi tutti i distinguo sulle intenzioni di ogni attore, con l’Italia che dice di non voler bombardare, o la Francia che vuole condurre un’azione molto più incisiva.
Ma un coordinamento formale ed univoco ci vorrà pure?
Dal punto di vista tecnico sono soltanto la Nato e gli Usa che hanno la possibilità di condurre un’azione così complessa. Poi ci saranno gli aggiustamenti politici che daranno il colore del cappello che verrà messo sopra all’operazione. L’ipotesi di un comando Nato però al momento non mi sembra molto praticabile, perché l’Alleanza atlantica non intende esporsi più di quanto non lo faccia già in Afghanistan.
Un vero pantano insomma?
Più che pantano parlerei proprio di rischio stallo, da cui forse sarebbe possibile uscire con una attività politica e diplomatica seria, nonostante l’interlocutore, lo sappiamo, sia molto ambiguo. Pare che Gheddafi lunedì abbia proposto di avere degli osservatori dell’Onu che controllino cosa accade davvero nelle città. Bisogna vedere quanto quest’offerta sia reale, ma potrebbe essere un inizio. Questi osservatori dovrebbero essere tutelati, anche dal punto di vista militare. Magari in modo simile a quello fatto in Kosovo, dove alla fine del ’98 furono mandati gli osservatori dell’Osce e alle loro spalle una forza che sarebbe dovuta entrare nel Paese in caso di pericolo.
Il nostro governo può dire “i nostri aerei non bombardino?
Ciascun Paese in questa situazione decide in proprio: se il nostro governo decide che i nostri aerei non bombardano, questi non bombardano, a meno che non si tratti di autodifesa: se un Tornado vede un radar che lo illumina e un razzo che sta per essere lanciato, ha il dovere di difendersi e quindi di intervenire. L’Italia per ora si è riservata un ruolo meno incisivo, ma necessario: i nostri F-16 contribuiscono a mantenere la supremazia aerea, mentre i Tornado servono per tenere sotto controllo le difese aeree di Gheddafi.
Potremmo davvero negare agli alleati l’uso delle basi?
L’Italia mantiene la sovranità sulle sue basi e in via teorica può dire “non vogliamo più aerei stranieri”. Ma mi sembra improbabile dal punto di vista politico.
I cosiddetti danni collaterali, ovvero le vittime civili, quelle che tutti dicono di voler evitare, non sono inevitabili?
Se dovesse continuare la campagna aerea con l’intensità dei primi giorni qualcosa, prima o poi, purtroppo succederà.