«Ma in questa situazione voi pacifisti che cosa fareste?» Tutte le volte è la stessa cosa. Quando scoppia un conflitto (Golfo 1, Kosovo, Afghanistan, Golfo 2, ora la Libia) puntualmente si assiste alla “liturgia” dei giornalisti che chiamano qualche illustre esponente del mondo pacifista/non violento e pone la domanda (convinto peraltro di aver posto una domanda intelligente). Il malcapitato intervistato cerca di articolare la risposta, ma il sagace cronista non lo lascia “tergiversare”: «Sì, ma Gheddafi voi lo avreste lasciato libero di continuare il massacro degli insorti? Come lo avreste fermato con la non-violenza?»… e via intervistando.
È una situazione difficile, per chi dice no alla guerra. Che può dire? «Sì, lascerei che Gheddafi terminasse il suo lavoro». Oppure, «no, in questo caso lo sommergerei di missili?»
Ebbene, la risposta è un’altra. Qualche anno fa feci un’intervista ad Alessandro Baricco (all’epoca stava cominciando la guerra in Afghanistan voluta da Bush). Il tema era tutt’altro, ma finimmo per parlare del non violento braccato dal quesito di cui sopra, il «voi-adesso-cosa-fareste». Lo scrittore disse che lui avrebbe risposto «adesso nulla; adesso che avete voluto la guerra, fatevela; adesso che avete compiuto tanti passi in direzione del conflitto, non vi resta che combattere, ma non chiedete la soluzione al pacifista». Già.
È come una partita a scacchi, durante la quale si chieda una via d’uscita quando mancano due mosse allo scacco matto. A quel punto c’è ben poco da suggerire. Ormai la situazione è compromessa.
È paradossale, ma i sostenitori della guerra (in questo come in tutti i casi precedenti) conducono un’azione politica che porta inevitabilmente al conflitto, salvo tacciare di disfattismo o di irenismo chi poi quella guerra contesta.
Prendiamo il caso della Libia. Chi, negli ultimi anni, ha sdoganato politicamente il ditattore Gheddafi? Chi ha sottoscritto contratti e accordi con lui? Chi lo ha invitato in visite ufficiali, in qualche caso baciandogli pure la mano? Chi lo ha chiamato a presiedere addirittura Commissioni per i diritti umani? Chi gli ha fornito l’apparato bellico? Non certo i pacifisti, per i quali Gheddafi è stato sempre e comunque un dittatore sanguinario. Non certo i pacifisti, che hanno sempre denunciato lo scandalo delle vendite di armi ai regimi autoritari e a quelli in guerra civile.
Eppure, poi, dovremmo essere noi, noi che prendiamo sul serio l’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”), a inventarci la quadratura del cerchio, cioè a evitare di rispondere alla guerra con la guerra, quando ormai gli insorti hanno le armi in mano e Gheddafi ha già fatto partire i suoi caccia.
No, la partita a scacchi la si conduce dall’inizio. Ci sarebbero state condotte politiche e strategie diplomatiche internazionali in grado di evitare i passi verso una guerra. Quei passi non sono stati fatti, quelle azioni non sono state messe in atto. L’Italia ha pensato al petrolio e ai respingimenti, la Francia al petrolio futuro, gli Stati Uniti a non farsi invischiare in un pantano euro-africano, e via di questo passo.
I pacifisti hanno le soluzioni. Le teorie e le prassi della non-violenza sono ormai antiche e collaudate. Ma occorre che i non violenti siedano a giocare la partita fin dall’inizio, non a tempo scaduto. A tempo scaduto continui a giocare chi ha voluto scendere in campo. E non chieda magiche soluzioni quando la partita della pace è ormai perduta.