Importante il ruolo di tre pentiti. In particolare è Roberto Moio a tratteggiare i nuovo equilibri mafiosi a Reggio Calabria che si sono tradotti in una pax tra le varie famiglie, dopo il sangue della seconda guerra di mafia
Un incontro di notte. Sulla collina di Archi, all’aperto. Un abbraccio e un pianto per i quasi mille morti ammazzati nella seconda guerra di mafia. Pasquale e Domenico Condello, Giovanni e Pasquale Tegano, Orazio e Giuseppe De Stefano. I padroni di Reggio hanno fatto pace. Non si spara più in riva allo Stretto. La città era e rimane cosa loro. È il momento di pensare agli affari. Siamo nel 1991. Sono passati sei anni dall’autobomba di Campo Calabro che ha attentato alla vita del boss Nino Imerti e dall’omicidio eccellente di don Paolino De Stefano. Nel mezzo un fiume di sangue ha bagnato l’asfalto delle strade di Reggio e della provincia.
Il racconto, inedito, è di Roberto Moio, genero del boss Giovanni Tegano. È uno degli ultimi pentiti che sta collaborando con la Direzione distrettuale antimafia. Uno che ha respirato la ‘ndrangheta dall’interno, dallo stesso tavolo in cui sedevano i vertici mafiosi di Reggio Calabria. Di cose, nei 180 giorni utili, Moio ne ha raccontate al sostituto procuratore Giuseppe Lombardo, confessando decine di omicidi, di estorsioni commesse dalla cosca Tegano, ma non solo. Le sue dichiarazioni sono state inserite nel fascicolo dell’inchiesta “Meta” che, nel maggio scorso, definita dal gip “il processo evolutivo della ‘ndrangheta reggina avvenuto nell’ultimo decennio”.
La Dda ha notificato ieri l’avviso di conclusione indagini a 42 persone accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso. Alla sbarra c’è la “super associazione” all’interno della quale convivono le quattro storiche cosche mafiose Condello, De Stefano, Tegano e Libri che operano per il raggiungimento di un “comune programma criminoso”.
Un’inchiesta mastodontica che ha tutte le carte in regola per diventare la naturale prosecuzione dell’indagine “Olimpia”. Un faro puntato sui protagonisti della seconda guerra di mafia che, adesso, si trovano attorno allo stesso tavolo. Riconoscendo il ruolo di capo-crimine a Giuseppe De Stefano, il “Supremo” Pasquale Condello e il boss Giovanni Tegano sono rimasti i capi carismatici assoluti dell’onorata società. Un «organismo decisionale di tipo verticistico» del quale fa parte anche Pasquale Libri, fratello del carismatico boss defunto don Mico.
Senza di loro, a Reggio Calabria non si muove nulla. Dalle estorsioni agli omicidi, dagli appalti alla politica, la regia è unica. Come testimoniano i verbali degli storici collaboratori di giustizia Paolo Iannò e Nino Fiume. Alle loro dichiarazioni si sono aggiunte quelle dei nuovi pentiti: Consolato Villani, Antonino Lo Giudice e Roberto Moio.
Ed è proprio quest’ultimo che si sta rivelando una vera e propria mannaia per la “super associazione”. È lui che ricostruisci l’organigramma delle cosche, quelle che comandano a Reggio come a Milano. Il suo è il racconto che proviene dalla pancia di una ‘ndrangheta che si rivela il punto di riferimento di una città-pantano, non solo degli affiliati ma anche degli imprenditori asserviti e dei politici corrotti.
Moio è uno di quelli di cui Giovanni Tegano aveva massima fiducia. È stato lui ad accompagnare il boss ‘Ntoni Nirta a casa degli Alvaro, garanti della pace del 1991. Ed è stato sempre lui, su incarico di Pasquale Tegano, a riferire a tutte le cosche legate ai De Stefano che la guerra era finita, che “le cose si erano aggiustate e non bisognava sparare più”.
I VERBALI
“Pasquale Condello e Peppe De Stefano sono i vertici assoluti delle rispettive famiglie. – prosegue Moio durante gli interrogatori – Pasquale Libri è capo del locale di Cannavò, avendo preso il posto del fratello Domenico Libri: è coadiuvato dal genero Chirico Filippo e da Nino Caridi. La cosca Libri controlla Cannavò, Spirito Santo e Tre Fontane. Conosco Condello Domenico, detto “Gingomma”, fa parte della cosca Condello e si occupa di tangenti e politica; anche Demetrio Condello fa parte della cosca Condello ed è fidanzato con la figlia di Ugo Marino. Ho conosciuto Nino Iimerti, il cugino di “Nano Feroce”, durante la seconda guerra di mafia: ricordo che Gino Molinetti mi disse che lo stesso era parte della cosca Imerti. Attualmente è un soggetto di peso criminale nella zona di Villa San Giovanni, Fiumara di Muro e San Roberto. Conosco Buda Pasquale, fedelissimi di Nino Imerti. È parte della cosca Buda-Imerti, con un ruolo di prestigio. Percepiscono tangenti dalla società Caronte (che gestisce il traghettamento nello Stretto di Messina, ndr). Anche Natale Buda è parte della cosca Buda-Imerti”.
Non solo boss al centro dell’inchiesta “Meta”. L’avviso di conclusione indagini, infatti, è stato notificato anche ad alcuni imprenditori ritenuti legati alle cosche. Tra questi anche Domenico Barbieri, l’imprenditore edile che aveva vinto alcuni appalti con il Comune di Reggio Calabria e che, stando alle risultanze del Ros, era in contatto con esponenti politici di primo piano come il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti e molti consiglieri comunali. Politici che hanno partecipato addirittura al pranzo organizzato per festeggiare i 50 anni di matrimonio dei genitori di Barbieri. Pranzo al quale era presente il boss Cosimo Alvaro (l’unico sfuggito al blitz del maggio scorso) e i suoi fratelli.
Moio fa i nomi di tutti: ‘ndrangheta, impresa e politica. “Conosco Barbieri Domenico, imprenditore di Catona: il cugino è cugino di Giovanni Pellicano – prosegue il pentito – . Sono parte della cosca Rugolino, che controlla in territorio di Catona ed Arghillà. Il capo locale è Giovanni Rugolino, detto “Craxi”. Ho visto spesso Barbieri Domenico dai miei zii Tegano. Ricordo di aver accompagnato, dopo la guerra di mafia, Pasquale Tegano da Rugolino Giovanni: questi già all’epoca era a capo del locale di Catona. Conosco Le Pera Santo in quanto lo stesso è affiliato alla cosca Rugolino: è il braccio destro del Rugolino. Ho incontrato di persona il Le Pera anche per il tramite di Rocco Ligato, autotrasportatore. I fratelli Morgante di Rosalì sono a loro volta parte della cosca Rugolino: sono appaltatori nel settore edile, grazie ai politici a cui vengono regalati i voti in cambio di lavori. Conosco Franco Rodà di Gallico: è capo del locale di Gallico Superiore. Dopo la morte di Mimmo Chirico il Rodà è divenuto il vertice del locale di Gallico e della cosca Chirico. Conosco Greco Giuseppe di Calanna, figlio di don Ciccio Greco, quale attuale capo del locale di Calanna: abita sopra l’inceneritore di fronte all’abitato. È una famiglia collegata storicamente ai Tegano. Ho incontrato Peppe Greco nel carcere di Reggio Calabria, dopo il mio arresto di settembre 2010: ho avuto modo di parlare con lo stesso durante l’ora d’aria, anche del mio amico Mimmo Catalano. Peppe Greco è più anziano di me: c’è anche il cugino che si chiama Peppe Greco che fa parte della medesima cosca. Il sindaco di Calanna, di cui ho parlato la volta scorsa, è un uomo loro”.
LA POLITICA E LE IMPRESE
Il riferimento a un precedente interrogatorio durante il quale il collaboratore di giustizia Moio ha parlato del sindaco di Calanna, lascia intendere, come più volte detto dal procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, che le indagini sulla politica continuano.
Non è un caso, infatti, che nell’informativa finale dell’inchiesta “Meta” sono state riportate alcune intercettazioni tra esponenti mafiosi, imprenditori e politici. E se da una parte il gip di Milano Giuseppe Gennari, che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione “Redux”, scrive che il sottosegretario della Regione Calabria Alberto Sarra “risulta anche indagato in Meta”, il 9 marzo scorso il procuratore Pignatone e il sostituto Lombardo hanno interrogato il consigliere comunale del Pdl Manlio Flesca, indagato per corruzione elettorale con l’aggravante mafiosa dell’articolo 7.
Secondo la ricostruzione del Ros e della Dda, in sostanza Flesca avrebbe fornito la propria disponibilità affinché la moglie di Vincenzo Barbieri (fratello di Domenico) venisse assunta alla Reges, «elemento fondamentale, – scrivono gli inquirenti – affinché i fratelli Barbieri appoggiassero lo schieramento politico al quale aderiva il Flesca Manlio». Nella stessa informativa, c’è finito il nome di un altro consigliere comunale del Pdl, Michele Marcianò, che con il boss Cosimo Alvaro, secondo gli inquirenti, avrebbero trattenuto “conversazioni telefoniche riguardanti argomenti politico mafiosi”.
“In particolar modo, – continuano gli investigatori del Ros – tale attività ha consentito di accertare la piena disponibilità dello stesso Marcianò Michele, allora vice presidente del Consiglio comunale, con l’indagato Alvaro Cosimo, per la realizzazione di “progetti” aventi come fine la formazione di nuovi gruppi politici, inserendo giovani universitari. Questi ultimi avrebbero goduto del sostegno politico del Marcianò, il quale avrebbe garantito attraverso le sue amicizie a livello politico nazionale, nomine dirigenziali all’interno degli stessi partiti politici”.