Sono passati alcuni giorni da quando il commissario Anna Maria Cancellieri ha annunciato l’intenzione di voler tenere aperto il dormitorio di via Capo di Lucca per altri due mesi e la speranza negli occhi e nelle parole degli ospiti è molto alta, anche se si ferma sulla soglia del dubbio, su quello “speriamo” che tutti ripetono quando si parla della notizia, mentre commentano gli articoli usciti sui giornali. Alcuni di loro sono stati all’incontro in Comune con il subcommissario Raffaele Ricciardi e si dicono soddisfatti del dialogo. C’è ottimismo ma anche un po’ di tensione.
“La mobilitazione che c’è stata contro la chiusura non viene dal nulla”, spiega Daniela Ghinello, responsabile del dormitorio per l’Antoniano, che lo gestisce insieme a Piazza Grande, “in occasione dell’apertura abbiamo fatto una campagna per raccogliere coperte e c’è stata una risposta altissima, tanto da permetterci di lavorare tutto l’inverno con le coperte che la città ci ha dato. Quando abbiamo aumentato il numero dei posti letto (in origine erano una cinquantina, ora sono circa settanta), abbiamo fatto un’altra campagna per raccogliere fondi, materassi, letti e anche in questo caso la risposta è stata incredibile. A Natale un gruppo di genitori di una scuola ha regalato ai loro figli una cena qui nel dormitorio, per far conoscere ai loro bimbi questa realtà. Esercizi commerciali ci hanno offerto pasti, abbiamo avuto molti volontari disponibili… È una risposta solidale che deve essere preservata, è un buon segno e non si verificava da tanto tempo in città. La mobilitazione contro la chiusura è stata un passaggio in più di questo percorso. C’è tanta gente che si chiede ‘Cosa posso fare io?’ e ci aiuta”.
Anche gli ospiti del centro lo sanno, hanno un buon rapporto con gli operatori e, in mezzo alle difficoltà di ogni giorno, la struttura di via Capo di Lucca è per loro un punto di riferimento importante. Le provenienze e i percorsi di vita sono i più diversi. Ma ci sono alcuni elementi significativi, che ci fanno capire che a volte basta un attimo, pochi giorni, per ritrovarsi senza un tetto sulla testa, se non si ha quel welfare familiare alla spalle che per alcuni è l’unica garanzia di sicurezza. “Tre settimana fa ho perso il lavoro e quindi la casa”, racconta Orazio, da otto anni qua a Bologna, dove faceva il carpentiere edile, “non mi hanno rinnovato il contratto. Ora dormo qui da tre notti, sto cercando di ricominciare a lavorare e forse qualche segnale di ripresa sta già arrivando”.
Il sabato sera al dormitorio c’è un po’ di via vai, quando apre alle sette c’è già la fila di persone che stanno aspettando, salutano e scherzano con gli operatori quando arrivano e poi dentro, dopo aver segnato le presenze. Uno dei problemi più grandi è l’alloggio, come racconta Francesco che, intanto, spera che il dormitorio resti aperto fino a maggio. “È giusto”, dice. Un altro problema, strettamente legato al primo, è il lavoro. “Ho pagato 5.000 euro per arrivare in Italia con un regolare contratto di lavoro stagionale”, racconta Khalid mentre mi mostra il contratto con tutti i dati e i bolli. “Ma quando sono arrivato qua ho scoperto che quel lavoro non esisteva e sono rimasto per strada, a Napoli. Ho fatto qualche lavoro in nero, per meno di 30 euro lavoravo anche più di 12 ore al giorno, ma è stata dura, perché non conoscevo nessuno e l’italiano lo parlavo poco”.
Khalid ha 31 anni e viene dal Marocco, è falegname. “A tantissimi altri è successa la stessa cosa, sono arrivati con contratti che poi hanno scoperto essere falsi, rischiando così di trovarsi da subito clandestini. Perché lo Stato italiano non controlla?”. In tanti, come Faouzi, tunisino in Italia da 10 anni, hanno avuto problemi con i datori di lavoro: il più delle volte non vengono pagati. A volte la ditta fallisce, altre volte semplicemente li lasciano a casa, senza stipendio. Poi, per chi può, si prova con un avvocato a far valere i propri diritti. Ma non è detto che ci si arrivi e i tempi sono troppo lunghi”.
Gli ospiti continuano ad arrivare. Gli operatori parlano e danno consigli, per le visite mediche o per altre necessità. Mentre qualcuno si prepara per andare a dormire, arriva la notizia della morte di Marzia, donna senza fissa dimora, un volto conosciuto e amato da tutti, qui. A dirlo agli altri è Mariana, romanzo che cammina, come si definisce lei stessa, rumena di origine e italiana di cittadinanza. “La conoscevo da tanto”, racconta con gli occhi lucidi, “era una femminista, di una sensibilità rara che, purtroppo, spesso diventava rabbia nei confronti di una società che trovava ingiusta e volgare. Era buona amica di tutti, non si era mai tirata indietro quando c’era da aiutare un’altra donna in difficoltà”. Le luci si spengono, domani è un altro giorno. E sarà dura, come sempre. Il lavoro, il cibo, la sopravvivenza.