Il suo arrivo era annunciato per giovedì scorso. Poi non se ne è saputo più nulla. Alla fine la nube radioattiva di Fukushima è arrivata anche sull’Italia. Ieri gli strumenti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Lombardia (Arpa) hanno rilevato iodio 131 in atmosfera. “Ma in concentrazioni bassissime, non pericolose per la salute dell’uomo”, garantisce Giuseppe Sgorbati, coordinatore dei dipartimenti dell’Arpa.
I radionuclidi, cioè le particelle radioattive che la centrale giapponese sta sprigionando nell’aria dopo l’incidente causato dal sisma dell’11 marzo scorso, ci hanno messo più di due settimane per fare il giro dei tre quarti del globo. Perché le correnti d’alta quota che le hanno trasportate fino a noi dal Giappone attraversano il Pacifico, superano l’America, l’Atlantico e poi arrivano in Europa. “La quantità di iodio 131 rilevata in atmosfera è di 1,6 decimi di millesimo di Becquerel per metro cubo”, spiega Sgorbati. Mentre per ora non sono ancora stati rilevati cesio 137 e altre sostanze dannose per l’uomo. “Le concentrazioni che abbiamo misurato ieri sono di molto inferiori a quelle che che si riscontrarono dopo l’incidente di Chernobyl: allora lo iodio 131 in atmosfera era intorno ai 30-40 Becquerel per metro cubo, mentre il cesio 137 intorno ai 7-10”.
La nube radioattiva che da ieri sorvola l’Italia è quindi 100mila volte meno radioattiva di quella che nel 1986 arrivò dall’Ucraina. Tre sono le ragioni. L’incidente di Chernobyl, spiega Sgorbati, portò alla distruzione immediata del reattore e a un rilascio immediato di agenti contaminanti. “Invece a Fukushima il rilascio di radionuclidi è stato più diluito nel tempo. A Chernobyl – continua Sgorbati – ci fu poi un incendio che portò la contaminazione ad alta quota, rendendo così particolarmente efficiente la sua successiva diffusione. Infine sul grado di contaminazione minore che ha raggiunto ora l’Italia influisce la maggiore distanza da dove è avvenuto l’incidente”.
I risultati delle misure dell’Arpa Lombardia sono congruenti con quelli che le Arpa di Piemonte, Valle d’Aosta e Bolzano hanno comunicato all’Ispra (Istituto superiore per la protezione per la protezione e la ricerca ambientale). L’Arpa del Friuli Venezia Giulia ha poi effettuato una stima di deposizione al suolo di sostanze radioattive, ovvero della contaminazione che la pioggia porta a terra. Le concentrazioni rilevate in questo caso sono di 10-100 volte inferiori di quelle misurate negli Stati Uniti, che secondo l’Epa (Environmental protection agency) non rappresentano un pericolo per la salute. “Per quanto riguarda la Lombardia i dati sulla deposizione al suolo saranno pronti entro domani – spiega Sgorbati -. Ma ci aspettiamo concentrazioni molto basse, visto quelle riscontrate in atmosfera”.
Resta ora da capire che cosa succederà nei cieli italiani nelle prossime settimane, se non sarà interrotta la fuoriuscita di sostanze radioattive dai reattori di Fukushima. Sgorbati tranquillizza: “Anche se le concentrazioni di radionuclidi aumenteranno, a un certo punto si raggiungerà un punto di equilibrio che non dovrebbe causare problemi per la salute. Tra l’altro lo iodio 131 ha un decadimento con un tempo di dimezzamento di circa 8 giorni. Cioè in poco più di una settimana la sua radioattività si dimezza. Il cesio 137 invece ha un decadimento più lento, ma ha una mobilità in atmosfera inferiore e dalla centrale giapponese se ne è sprigionato di meno”.
(ha collaborato Andrea Di Stefano)