Inchiodati. Anzi, pietrificati. I presidenti delle Fondazioni bancarie, gli enti che controllano fette decisive degli istituti di credito più importanti in Italia come Unicredit e Intesa, sono in sella in media da vent’anni. Non hanno intenzione di farsi da parte e metterli alla porta è quasi impossibile.
Lo dimostra il caso di Giuliano Segre, presidente della Fondazione di Venezia che controllava la Cassa lagunare, ora finita nel gruppo Banca Intesa. Segre, socialista, fu nominato alla fine degli anni ’80, e nel 1992 (quando venne varata la riforma Amato per aprire una breccia nella foresta pietrificata delle banche pubbliche, come le Casse dove le nomine erano sempre politiche) si spostò poco più in là diventando presidente della neonata Fondazione Carive. Ebbe però la “sfortuna” di essere a capo della Carive quando questa cercò di salvare un gruppo tessile veneto, la Trevitex della famiglia Dalle Carbonare. Fu un insuccesso clamoroso e un buco colossale. Trevitex fallì nel 1995. Poi partirono le indagini e i processi. A Segre è stata confermata la condanna in appello a 4 anni per bancarotta fraudolenta un mese fa. Ma che fa il professore? Si trincera dietro lo statuto garantista della Fondazione di cui è stato confermato presidente per altri cinque anni nel settembre del 2010 da un consiglio plasmato a sua immagine e somiglianza, come accade d’altronde per tutte le consorelle Fondazioni. Scatta solo la sospensione dalla carica di presidente.
Il problema è stato che contro di lui si sono schierati il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni (“amministra soldi pubblici, farebbe bene a dimettersi”), la Lega veneziana e una pattuglia di consiglieri. Il 14 marzo si riunisce di nuovo il consiglio generale della Fondazione Venezia: su 13 presenti, 6 hanno votato per la sua rimozione, 6 contro, e uno si è astenuto. Niente maggioranza dei due terzi, nessuna revoca, presidenza salva. «Si è inopinatamente aperto un difficile problema relazionale col sindaco. Il problema invece non esiste col resto dell’amministrazione», ha dichiarato in seguito Segre. Tradotto su qualche giornale amico: questa manovra di ingerenza politica non ha avuto successo e il sindaco deve stare attento.
Parlare di ingerenza politica quando si è stati nominati cinque lustri fa da partiti defunti e ci si è mantenuti in sella grazie a regole bizantine che portano a perpetuare presidenti – in pratica sono i vecchi consigli che indicano i nuovi consiglieri o scelgono tra una terna indicati dagli enti locali i rappresentanti di Comuni, Province, Regioni – è quantomeno inopportuno. Ma invece di festeggiare il quasi scampato pericolo – c’è chi fa notare, come il suo ex consigliere di amministrazione Marco Cappelletto, che il pareggio non è una fiducia e quindi Segre dovrebbe rimanere sospeso dalla sua carica – il piccolo doge del credito lagunare lancia messaggi al sindaco, un avvocato di lungo corso che si dichiara indipendente di sinistra ed è inviso a una parte del Pd, partito ancora in maggioranza a Venezia. Accendendo uno scontro che potrebbe diventare politico e di sicuro finirà a carte bollate, perché Orsoni ha investito l’avvocatura dell’amministrazione di studiare il caso, unico in Italia. Per ora.
Un altro presidente potrebbe infatti finire nella “gogna” giudiziaria: Paolo Biasi, leader dal 1992 della Fondazione Cariverona, il primo azionista italiano di Unicredit con il 4,6 per cento del capitale. Un pezzo grosso in odore di Opus Dei che è finito sotto inchiesta come presidente di due società di famiglia a Teramo e rinviato a giudizio per bancarotta preferenziale. Un vizio dei presidenti del Nordest. Biasi però non si era già blindato per quest’evenienza e lo statuto della Cariverona è stato cambiato in senso più “garantista” per il presidente nel gennaio scorso, cioè dopo un primo rinvio a giudizio. E non è stato ancora approvato dal ministro Giulio Tremonti. L’ombrello per lui potrebbe quindi non aprirsi in caso di temporale giudiziario.
Ma è difficile che Tremonti faccia uno sgarbo a un fedelissimo del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi come Biasi. Difficile, ma non impossibile. Appare invece ancora più complicato aprire uno spiraglio di cambiamento in queste casseforti del credito italiano che ormai sembrano più dei feudi che degli enti aperti al territorio. Ma chi è il leader di questi inossidabili? Sicuramente Giuseppe Guzzetti, il dominus di Fondazione Cariplo, grande azionista di Intesa. L’ex democristiano (si iscrisse alla Dc all’età di 19 anni nel 1953) è in sella dal 2000 ed è anche presidente dell’Acri, l’associazione delle Fondazioni. Nemmeno i leghisti sperano di poterlo scalzare. Ma di piazzargli qualcuno alle costole in Fondazione sì. Come hanno già fatto a Verona.