Giuseppe D’Agata – ma ci teneva a essere chiamato Pippo appena si faceva la sua conoscenza – è una scomparsa che segna pesantemente il mondo della cultura italiana. Si è spento oggi a Bologna, a 84 anni, e si farebbe bene a ricordarlo perché, pur meno noto di molti scrittori della sua generazione (era nato nel 1927), ha scandito un passaggio importante: quello dalla narrazione su carta, in forma di romanzo, alle storie raccontate attraverso la radio, il cinema e il piccolo schermo.

Non si pensi però alla televisione e alle fiction di oggi. Si pensi ai grandi sceneggiati degli anni Settanta, come “Il segno del comando”. Correva l’anno 1971 e D’Agata, medico che non esercitava, aveva lasciato da anni Bologna per Roma, dove lavorava come sceneggiatore e dove aveva già firmato un capolavoro del calibro del film “Il medico della mutua”, uscito nel 1968 per la regia Luigi Zampa.

Ricordando però quest’autore, non si possono non ricordare anche i romanzi. Lui, partigiano adolescente nella Brigata Matteotti Sap e militante socialista dal 1944 nelle file del Psiup, aveva raccontato nelle sue pagine l’esperienza della guerra di Liberazione e aveva saputo ritrarre bene quel periodo di lotta e sogni, pur tra le grandezze e le miserie che si vivevano quotidianamente. Per averne una prova si provi a recuperare “L’esercito di Scipione. Il romanzo dell’8 settembre”, ambientato a Bologna.

E ancora la sua storia tornerà a riaffiorare in libri come “Bix e Bessie”, rieditato successivamente con titolo “La cornetta d’argento”. Una vicenda di jazz e antifascismo che gli varrà nel 1965 il premio “XX della Resistenza” di San Pietro Agliano (Pistoia) e che verrà ripubblicato nel 1973 in edizione scolastica. O come “Il dottore”, vicenda che torna al 1940 e che ha al centro un personaggio con uno scopo: uccidere Benito Mussolini per evitare che l’Italia entri nella seconda guerra mondiale.

a.b.

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