A Londra ormai da più di cinque anni, osservo progredire speditamente la mia carriera di Clinical Academic allo University College of London, la quarta migliore università al mondo, la seconda in Europa. Dovrei esserne stupito visto che solo cinque anni fa in Italia ero uno dei tanti “ricercatori volontari” – in realtà dei disoccupati che lavorano gratis per l’università  e sono in fila ad aspettare che il Potente di turno li omaggi di un concorso “blindato”. Sempre che figli, mogli e fidanzate siano stati tutti sistemati; la famiglia prima di tutto.

Ma sento che ormai certe cose del mio lavoro e della mia vita qui a Londra non mi stupiscono più. Passare da ricercatore a professore associato a 34 anni, e senza avere lo stesso cognome di un rettore, di un professore ordinario, o di un dirigente amministrativo di questa università non mi stupisce più.

Essere promosso prima e più velocemente di altri ricercatori che erano qui prima di me, semplicemente perché sono più bravo, perché pubblico di più e in riviste più prestigiose, perché ottengo più finanziamenti di ricerca non mi stupisce più.

Vedere che, negli anni della crisi finanziaria e dei tagli alla spesa pubblica, la mia università invece di licenziare sta assumendo nuovo personale per supportare i ricercatori e i loro progetti, sapendo che alla lunga questi porteranno centinaia di milioni di sterline di finanziamenti, tanti quanto basta per coprire il buco dei tagli della spesa pubblica, non mi stupisce più.

Andare a lavorare con una efficientissima metropolitana, spostarsi tra i dipartimenti con una delle oltre 5000 biciclette del bike sharing disseminate per Londra, gratis per i primi 30 min di utilizzo, e fittare l’auto, quando serve, con il sistema del car sharing, auto rigorosamente con motore ibrido, non mi stupisce più.

Certe cose però mi stupivano ancora. Quando l’ordine dei medici inglese pretese una vastissima e minuziosa documentazione dei miei titoli e della mia formazione specialistica ed esperienza clinica per decidere se questa fosse equipollente alla formazione specialistica dei colleghi inglesi. Visto che l’equipollenza è un elemento necessario per accedere alle posizioni apicali, quella di primario ospedaliero per intenderci, questa pretesa della dettagliata prova documentata della mia competenza mi sembrava un’ingiusta discriminazione, un’ulteriore prova dello spirito ultra-nazionalistico degli inglesi che storcono il naso quando qualcosa non è fatto secondo il loro sistema, a modo loro.

Poi un giorno ho visto un’intervista al ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna. Che mi ha illuminato. E anche la storia dell’equiparazione dei titoli e della competenza – adesso – non mi stupisce più. E vi spiego perché.

La giornalista chiedeva al ministro se reputasse giusto che una persona senza formazione specifica, senza appunto competenza ed esperienza, fosse nominata parlamentare e poi ministro. Dubbio ancor più  valido quando questa persona, poco tempo prima, si era dedicata a balletti e pose fotografiche in calendari, più che ad uno studio approfondito di come amministrare la cosa pubblica. Il Ministro, per tutta risposta, faceva notare quanto fosse ingiusto e pretestuoso dare giudizi a priori e rispondeva dicendo: “Lasciatemi prima lavorare, e poi giudicatemi in base a quello che farò, o quello che non farò”. Ragionamento che apparentemente non fa una grinza.

E invece no. La grinza c’è ed è alta come una montagna. La formazione specifica, la competenza, l’esperienza, in un parola il curriculum, sono tutti elementi che garantiscono che la persona che selezioniamo per un determinato lavoro lo faccia al meglio, secondo canoni di efficienza e, possibilmente eccellenza. Adesso capisco gli inglesi, la loro attenzione verso il curriculum, la competenza che deve essere documentata e certificata, e che deve essere valutata da terzi, indipendenti e autorevoli. E non mi stupisce più.

E se il prossimo primario di chirurgia del vostro ospedale fosse un personaggio del mondo dello spettacolo? Una persona senza esperienza né competenza, messa lì ad operare appendiciti ed ernie strozzate senza un briciolo di curriculum? Accettereste di sentirgli dire: “Lasciatemi prima fare il primario, lasciatemi operare per qualche anno, e poi giudicatemi dopo, in base alle persone che salverò o a quelle che ci rimetteranno la pelle”? Vorrei girare questa domanda ai nostri politici, al ministro Carfagna, a Nicole Minetti, alle ragazze del corso accelerato di politica per Veline e ai loro insegnanti. Temo rimarrei senza risposta. Ma, ormai, non mi stupisce più.

Stefano Fedele, University College London

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