Tempi duri per Greenpeace in Europa. Dieci attivisti sono stati condannati in Belgio a un mese di carcere e a pagare 1.100 euro ciascuno per il blitz al Consiglio europeo del dicembre 2009 a Bruxelles. Il mese di carcere non sarà scontato ma finirà sulla fedina penale dei dieci, mentre la multa dovrà essere pagata sull’unghia. Secondo Greenpeace si tratta solo dell’ennesimo tentativo di intimidire l’associazione messo in atto da governi e multinazionali.

Sul banco degli imputati di Bruxelles i dieci attivisti ci sono finiti per aver manifestato al Consiglio europeo prima del vertice internazionale sull’ambiente che ha avuto luogo a Copenaghen a fine 2009. Scopo del blitz era chiedere ai leader europei di fare il massimo in quello che doveva essere l’appuntamento cruciale del dopo Kyoto. Il summit di Copenaghen si rivelò poi un flop completo, a conferma delle preoccupazioni di Greenpeace.

I dieci attivisti sono stati giudicati colpevoli per “dichiarata falsa identità”, per aver oltrepassato le transenne che delimitano nell’edificio del Consiglio Ue l’entrata vip dei leader europei e aver camminato sul tappeto rosso che li conduce alla sala delle riunioni. “Volevamo solo consegnare un importante messaggio ai leader europei, chiedendo loro di salvare il clima”, ha commentato Jacques Vandenheede, attivista francese di Greenpeace. “Non solo ci hanno ignorati, ma hanno anche fallito nel proteggere il clima. Il vero crimine è stato loro, ma davanti al giudice ci siamo finiti noi”. Infatti il tribunale belga ha stabilito che “non si possono usare false identità nemmeno per il pubblico interesse”.

Adesso l’associazione sta pensando di fare ricorso, visto che gli attivisti, anche se non andranno in prigione, rischiano di uscirne con la fedina penale sporca oltre che con il portafoglio alleggerito. Ma il problema non si esaurisce qui. Michel Genet, direttore esecutivo di Greenpeace Belgio, ci va giù pesante: “I nostri attivisti non pensano assolutamente di essere al di là della legge, ma senza dubbio questa sentenza è sproporzionata rispetto alla loro protesta pacifica. Questa condanna è solo un esempio del più ampio tentativo di criminalizzare il dissenso non violento. Se questo diventasse un trend, per associazioni come Greenpeace sarà veramente difficile giocare il loro ruolo in una società democratica”.

Insomma, secondo Genet in gioco c’è la stessa libertà di espressione. Come in Danimarca, dove altri 11 attivisti sono sotto processo per aver manifestato a favore dell’ambiente a un banchetto di gala organizzato dalla regina danese durante il vertice internazionale di Copenaghen. In quel caso, gli attivisti avevano esposto striscioni con scritto “I politici parlano, I leader agiscono”. Ebbene, qualcuno ha agito veramente: quattro di loro sono finiti in carcere per 20 giorni, e tutti sono stati accusati di falsificazione di documenti, d’identità e offese a pubblico ufficiale, ovvero Sua Maestà la Regina.

E poi ancora Belgio, dove nel 2008 Greenpeace si è vista denunciare dalla società elettrica Electrabel che ha equiparato l’associazione ambientalista a “un’organizzazione criminale”. E dire che la Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo sostiene che “l’attività di associazioni non governative come Greenpeace sono cruciali per l’interesse pubblico”.

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