Mentre la francese Lactalis si dichiara pronta a ultimare la scalata Parmalat, assicurando investimenti italiani (nel tentativo di tranquillizzare il senatur Umberto Bossi), la Ferrero, in lizza per l’ingresso nel capitale dell’azienda alimentare di Collecchio, smentisce le voci che la ritraevano fuori dai giochi. “Illazioni giornalistiche che si autoalimentano”, dicono dall’azienda di Alba, mamma della Nutella, sgomberando il campo a possibili uscite di scena. Ferrero, dunque, proseguirà la sua partita, purché siano rispettate le tre condizioni già indicate per l’ingresso nel capitale di Parmalat, ovvero che sia un progetto industriale, che sia di lungo periodo e di stampo italiano.
Nel frattempo la preoccupazione tra i lavoratori di via delle Nazioni Unite di Collecchio rischia di raggiungere livelli di vertiginoso stato: “L’azienda deve rimanere italiana – dicono – a rischiare sono gli investimenti negli stabilimenti della penisola e anche tutta la filiera, se i francesi decidono di intaccare il core business”.
Gli assets principali dell’azienda, infatti, sono il latte, lo yogurt e i succhi di frutta. «Potrebbe essere messi a rischio – afferma Claudio Lombardelli, lavoratore Parmalat – anche tanti lavoratori che vengono assunti stagionalmente, o peggio che magari la Lactalis investa a Collecchio, ma decida, ad esempio, di acquistare latte altrove, mettendo a repentaglio tutta la filiera e il futuro di migliaia di lavoratori».
Tra i 1000 lavoratori di Collecchio (di cui quasi 700 dell’area impiegatizia, essendo la sede centrale proprio nel paese della provincia di Parma), dunque, i timori diventano sovrani, monopolizzando le discussioni tra colleghi.
Paure alle quali si aggiunge lo “sconcerto – chiosa Enrico Barbuti, anch’esso lavoratore dell’azienda alimentare –. Il tempo è passato e pare che ci si accorga solo oggi del problema Parmalat, solo perché Lactalis ha il 29% delle azioni, innescando una corsa contro il tempo che rischia di vedere l’Italia ancora una volta rimanere impassibile di fronte ad un treno che passa. Dopo il concordato il progetto era di rendere Parmalat una multinazionale con sede qui in Italia. Un progetto di cui oggi non c’è più nulla”.
“La confusione è tanta – gli fa eco il collega Diego Savi –, non abbiamo ancora capito bene quale sarà il futuro di questa azienda. Ci dicono che la società sarà valorizzata e saranno effettuati nuovi investimenti in Italia, ma il timore di possibili spezzatini è sempre dietro l’angolo”.
Intanto la settimana appena iniziata si preannuncia alquanto calda. Il consiglio di amministrazione di Parmalat è stato convocato per venerdì primo aprile e sarà chiamato ad esaminare la possibilità di far slittare l’assemblea a fine giugno, così come permesso dal decreto del consiglio dei ministri.
“Anche se apprendiamo – afferma Tilla Pugnetti, segretario generale della Flai/Cgil di Parma – che probabilmente Lactalis voglia opporsi allo spostamento dell’assemblea perché il decreto ministeriale è intervenuto a partita già aperta. E che ci sia un ritardo da parte del Governo è ormai evidente, perché la questione Parmalat è all’ordine del giorno già da diverso tempo. Così come i ritardi sono da attribuire a Confindustria. Aspettiamo un piano industriale che preveda lo sviluppo degli stabilimenti italiani, che ancora non arriva”.
La voce di Confindustria, tuttavia, è tornata a farsi sentire, esprimendosi a favore della costituzione di un “polo alimentare di riferimento che sia italiano” con l’auspicio che “questo possa avvenire – ha spiegato il direttore generale degli industriali Giampaolo Galli – all’interno e nel pieno rispetto delle regole di mercato”.
Non si arrestano nemmeno i lavori in cui è impegnata Intesa Sanpaolo, che può contare al momento sull’appoggio di Granarolo, pronta a conferire risorse al progetto. A ciò si aggiunge la dichiarazione di interesse espressa da Giovanni Tamburi, presidente di Tamburi Investment Partner (Tip), che ha quantificato la sua possibile partecipazione alla cordata italiana in 350 milioni di euro. E non è tutto: tra i possibili “partecipanti” si fa anche il nome della finanziaria Palladio, che potrebbe mettere a disposizione fino a 600 milioni, il cui fondatore, Roberto Meneguzzo, figura anche nella lista dei candidati per il Consiglio di amministrazione proposta da Intesa Sanpaolo subito dietro all’amministratore delegato uscente di Parmalat, Enrico Bondi, e a quello di Wind Luigi Gubitosi.
Felicia Buonomo