Così come successo il 13 febbraio per la manifestazione delle donne, per il 9 aprile l’appuntamento è lanciato. Come da qualche giorno cerchiamo di raccontarvi su questo sito, “Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta” si chiamerà la giornata “generazionale” contro la precarietà e per il futuro. L’appello, non-partisan e post-ideologico, non può essere più chiaro: consiglio vivamente di leggerlo.
La cosa formidabile di questa giornata, è che è nata dal basso, da 15 giovani cittadine/i che hanno lanciato un appello per aggregare poi associazioni, alcune espressioni del sindacalismo, persone comuni e personaggi famosi.
L’obiettivo è quello di una grande manifestazione nella quale, fatto inedito, poter urlare non solo il disagio di una generazione messa ai margini, ma anche l’orgoglio di questa parte importante di italiani, la sua voglia di futuro.
In un paese normale queste istanze non avrebbero bisogno di andare in piazza per affermarsi. In un paese normale queste motivazioni costituirebbero la spina dorsale di qualsiasi proposta se non progressista, almeno ragionevole. Sarebbero le energie che un’opposizione in coma cercherebbe di valorizzare in ogni modo: questa la strada per costruire una vera alternativa al berlusconismo.
Da noi invece, tutto è sottotraccia. Non se ne parla, non interessa. Bersani dice che “il Pd è il pilastro per la riscossa del Paese”, ma sul suo sito, oltre a rispondere alle polemiche di giornata, non ci spiega che Paese ha in mente.
C’è qualcuno, allora, mi chiedo, che abbia voglia di far sue queste energie? C’è qualche politico che ha mantenuto un minimo di credibilità, che abbia voglia di spendersi e chiarire a questi italiani, i più giovani, i più dinamici, che qualcuno è pronto a rappresentarli?
Penso al sindaco di Firenze Matteo Renzi, naturalmente che, piaccia o meno, si è guadagnato autonomia di pensiero e di azione e nel suo libro racconta la sua grande ansia di futuro e innovazione. Penso anche a Nicola Zingaretti e a Michele Emiliano, amministratori che si sono distinti per aver interpretato in modo nuovo le lungaggini della politica.
Penso, mi sia permesso, anche alla vecchia guardia. Il 23 marzo 2002, con altri tre milioni di persone, ero al Circo Massimo alla manifestazione per difendere l’articolo 18. La cosa, da precario, non mi riguardava: da persona fortunata un contratto l’ho avuto solo lo scorso anno, a 33 anni.
Ma allora andai, come tanti miei amici e coetanei – molti di loro ancora oggi impigliati nelle maglie delle precarietà -, ad affermare alcun principi della tutela del lavoro. Il favore, però, non è mai stato ricambiato, né a me né alla generazione precaria. Cofferati, allora, D’Alema, Fassino, Veltroni, Bersani, Finocchiaro, Epifani, Rutelli, Damiano, Prodi, Treu e compagnia cantante: sarebbe un bel segnale se vi degnaste il nove aprile di scendere in piazza con i precari. Forse non vi sentireste a vostro agio spersi, senza bandiere, col rischio di essere fischiati. Ma, almeno, potreste accendere i riflettori su un evento importante e, per la prima volta, guardare in faccia le nuove generazioni. Pensateci: non è mai troppo tardi.