Il cantautore catanese Cesare Basile organizza la "presa di posizione civica" nei confronti del territorio: “Ci siamo ritrovati fra musicisti siciliani a parlare del disagio che per anni abbiamo vissuto, costretti ad andare via perché qui non ci sono strutture alle quali appoggiarsi né un circuito ben definito. Ora lotteremo contro la rassegnazione"
Fare concerti, aumentare lo scambio di creatività, ritornare a un concetto alto di cultura a trecentosessanta gradi. Fare questo in una Sicilia che da anni va chiudendo spazi per allargare clientele vuol dire prepararsi a una metaforica azione di guerriglia delle idee contro un immobilismo che fa pericolosamente rima con rassegnazione.
“Per riappropriarci dei luoghi, sottrarli all’impoverimento e renderli risorsa”, come è scritto nel manifesto dell’Arsenale, neonata federazione delle arti e della musica che ha proprio come obiettivo di “produrre e ospitare arte in Sicilia” attraverso un’esperienza confederativa che punti a creare un interlocutore forte all’interno della realtà regionale. Organizzare incontri, dibattiti, concerti, mostre, reading: è solo una parte di quello che l’Arsenale ha intenzione di fare nei prossimi mesi. Il primo banco di prova sarà il 30 aprile e il primo maggio a Palermo, con una manifestazione che coinvolgerà artisti, gruppi, registi e tutti gli operatori che hanno aderito. Ma già il bollino dell’Arsenale spunterà nei dischi siciliani in uscita in queste settimane, come Marta Sui Tubi e Cesare Basile. Alla federazione hanno aderito alcuni dei nomi più quotati dell’underground isolano, come Marlowe, Tellaro e Dimartino.
Proprio Basile è il colui che ha fatto partire il tutto. “Il mandato è scaduto. Torno a casa. In Sicilia”. Così lo scorso dicembre su Facebook il cantautore catanese salutava Milano, per otto anni la città nella quale ha vissuto e lavorato. “Mentre dal ponte del traghetto guardavo l’Etna piena di neve – ricorda Basile – un camionista con cui stavo scambiando due chiacchiere mi chiese perché tornavo in Sicilia, dove non c’è niente. Gli risposi che se non c’è niente allora possiamo fare di tutto. E questo ci stiamo preparando a fare. Di tutto”. L’Arsenale dunque è un’idea nata dalla condivisione di un’urgenza. “Ci siamo ritrovati fra musicisti siciliani a parlare del disagio che per anni abbiamo vissuto, costretti ad andare via perché qui non ci sono né strutture alle quali appoggiarsi né un circuito ben definito”. Per Basile, l’Arsenale “è una presa di posizione civica nei confronti del territorio. Se fossimo stati operai avremmo fatto un sindacato. Le risorse naturali di questa terra sono legate alle sue peculiarità intellettuali. In Sicilia c’è la tragedia greca, in Sicilia Federico II ha inventato un’accademia, in Sicilia ci sono stati Sciascia, Pirandello, Rosa Balistreri e tanti altri. La Sicilia può dare molto di più di quello che ha dato finora”.
In Sicilia i problemi culturali sfiorano il paradosso. Il caso più clamoroso è successo alla fine di maggio 2010, quando a Palermo un corteo di musicisti scese in piazza intonando un blues malinconico che sanciva l’agonia dell’arte in città. La polizia aveva messo i sigilli a uno dei locali più attenti alle nuove tendenze culturali palermitani, il Mikalsa, perché sprovvisto della licenza per la musica dal vivo. La chiusura (in seguito revocata) è solo una delle tante vicende di una storia di restrizioni e conseguenti frustrazioni di una terra che, storicamente, ama nutrirsi più di problemi che di soluzioni.
“Il Mikalsa – racconta il titolare Lorenzo Quattrocchi – come altri locali della città è stato colpito da una denuncia per spettacolo abusivo in riferimento a una legge del 1939. Il processo penale inizierà ad aprile. A causa di questa vicenda ho cancellato tutte le rassegne musicali, nonostante adesso abbia la licenza di intrattenimento che mi consente di fare spettacoli”. Secondo Quattrocchi si tratta però di “una presa in giro, perché questa licenza mi vieta di appendere locandine di eventi, di far pagare l’ingresso, di utilizzare amplificatori e perfino di disporre le sedie verso il palco. Un funzionario di polizia può contestarmi che il 5% dei miei clienti è girato in direzione del gruppo che suona e questo potrebbe costituire un reato”. Di fatto un bizantinismo burocratico che stride ancora di più se, usciti dal locale, si dà un’occhiata a quello che c’è intorno. “A me non va – prosegue Quattrocchi – di lavorare con la paura, tra l’altro in un quartiere come la Kalsa, in pieno centro storico, dove sono circondato dai venditori abusivi di alcolici che intercettano i miei clienti grazie a prezzi bassissimi che possono permettersi perché rubano l’elettricità e non pagano alcun tipo di contributi. C’è pure un chiosco arredato con mobili trafugati. Non posso avere come nemico lo Stato quando vedo davanti a me situazioni simili”.
Per Fabio Rizzo, membro della band rock palermitana Waines e curatore dell’etichetta 800A, che ha lanciato il fenomeno folk Pan Del Diavolo e il gruppo rivelazione indie pop Hank, “le difficoltà che un musicista deve affrontare qui sono sostanzialmente tre. Intanto c’è una questione discografica, ovvero produrre album, perché ci sono poche strutture. Poi c’è il problema dei concerti, perché spostarsi verso il nord Italia è una spesa che per un gruppo siciliano è molto più elevata rispetto, per esempio, a una band del centro Italia. Infine, parecchia gente viene in Sicilia a girare film o documentari utilizzando fondi regionali, solo che le musiche le producono da soli oppure le affidano ai loro amici di Milano o Roma”. L’Arsenale si prepara dunque a dare battaglia.