Mondo

Ecco come esportiamo <br>la democrazia

Oggi che il secondo Paese a introdurre le leggi razziali in Europa dispensa insegnamenti di democrazia e si prodiga nel favorire lo shopping guerrafondaio per disturbare il dittatore libico con cui poco tempo prima condivideva banchetti e prostitute, è il caso di chiedersi cosa intendiamo per “esportare la democrazia” nel mondo. La prima cosa che viene da pensare è che per esportare qualcosa bisogna prima possederla, ma qui il dibattito si farebbe eterno.

Prendiamo allora ad esempio l’Afghanistan. Il problema in Afghanistan era la democrazia o il petrolio? A gran voce il club degli “amici dei bombardieri” afferma che abbiamo esportato democrazia. Ma dunque perché il Paese, con un presidente simpatico agli americani, rimane uno dei più maschilisti del mondo? Perché Karzai sta aprendo ai talebani e ha proposto a febbraio una legge che chiuderà le case-rifugio per le donne perseguitate dalle proprie famiglie? C’è un interessante articolo di Monika Bulaj nell’edizione goriziana del Piccolo, che si chiede quali passi avanti siano stati fatti in Afghanistan dopo l’attacco americano del 2001 nel campo dei diritti delle donne. Le minacce di morte che di continuo subisce chi gestisce queste case-rifugio testimonia in quale clima di terrore stiano vivendo le donne in quel paese. Con la legge che chiuderà queste ultime oasi e con la ripresa della lapidazione pubblica per adulterio si chiude un’altra porta in faccia alla liberazione della donna.

Cito un passo di questo duro articolo: “Il corpo della donna, non il territorio, è il vero campo di battaglia in Afghanistan. Le adolescenti rubate, stuprate, uccise, vendute o imprigionate col permesso della legge per pagare sgarbi tribali commessi da maschi. L’acido contro le studentesse in posti come Kandahar o il Nuristan, il veleno sparso nelle scuole femminili di Kunduz, le lettere minatorie notturne inchiodate alle porte delle famiglie di Balkh, che mandano le loro bambine a istruirsi, ragazzine che studiano di nascosto in case private“. Si evince un dramma a monte: in alcuni casi il fatto che le donne si istruiscano è considerato reato e comunque disdicevole. Molte donne accettano il burqa e lo considerano necessario a causa di convinzioni religiose che le rende schiave e a causa del fatto che sono ignoranti.

Nessuno oggi riterrebbe di dover fare una guerra contro l’Afghanistan per il fatto che le donne in quel paese soffrono. A chi importa, ora che gli affari petroliferi sono stati ripristinati? Le leggi che autorizzano gli stupri in famiglia sono avallate anche dalle nostre ambasciate, quindi anche da noi. Credo che sia chiara la menzogna di chi, con la scusa di esportare la democrazia, dà fondo agli avanzi di magazzino degli store bellici. Credo dovrebbe essere chiaro che le battaglie culturali sono le più lunghe e difficili e anche le più importanti e vanno combattute con un’arma che non si può comprare nei discount dei guerrafondai, quella dell’intelligenza.