L’avventura del nucleare si scontra così con l’insostenibilità dei costi e con la progressiva maggiore convenienza delle altre fonti, in particolare quelle rinnovabili. Riporto qui un’analisi convincente delle “curve di apprendimento” del nucleare statunitense e francese e del fotovoltaico (l’energia oggi più cara). Si definiscono economie di apprendimento quelle che consentono, coll’affermarsi di una tecnologia e all’aumentare del volume di produzione cumulato di un prodotto, di osservare una riduzione dei costi medi unitari. Si presume che le competenze accumulate dalle imprese durante la loro permanenza sul mercato permettano un miglioramento continuo dei processi di produzione, dell’allocazione delle risorse e via dicendo. Generalmente, con l’affermarsi di una tecnologia, scendono i costi. È così per i microchip, per le automobili, per l’industria del vetro, per le centrali a gas, per l’energia eolica e per il fotovoltaico.
Esistono tuttavia rari casi di apprendimento ‘negativo’ dove i costi crescono, anziché diminuire, con la produzione cumulata. È il caso, sorprendentemente ignorato, dell’industria nucleare – qui analizzata per i reattori costruiti negli Usa (curva blu) e per quelli installati in Francia (curva rossa) – dovuto alla complessità crescente del sistema e al ciclo del combustibile, per cui non è ancora fattorizzato in maniera convincente il trattamento delle scorie. Proviamo quindi ad accostare le curve di apprendimento di nucleare e fotovoltaico fornite dallo studioso austriaco A. Gluber. L’andamento parla da solo.
Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, la relazione tra sicurezza nucleare, tecnologia degli impianti e risultati porterebbe le curve totalmente fuori controllo. Nel giro di un anno abbiamo la possibilità di installare più capacità di generazione con le rinnovabili di quanto permetterebbe il programma nucleare italiano in 10 anni. Che fare? Moratoria o un razionale De profundis?
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