Non ce la faccio. Non riesco a rimuovere dalla rubrica del mio telefonino le persone scomparse. E’ come se non fossero totalmente morte. Viceversa, è così facile – e anche liberatorio – rimuovere le persone con cui si è deciso di non avere più a che fare per la loro inaffidabilità o per altre più gravi ragioni.

Qualche giorno fa è improvvisamente scomparso un amico, il primo dell’era Facebook. Apro con esitazione la sua pagina e vi trovo tenere e affettuose parole di commiato degli amici: il social network è sempre più virtuale, ormai è ultraterreno. Non me la sento di aggiungere il mio cordoglio, ricorro al più tradizionale telegramma ai familiari, ma non posso non pensare, per contrasto, a quando assistetti alla scopertura di una tomba preistorica incappata negli artigli di un bulldozer che ripuliva un terreno dai macigni per renderlo più fertile. Accanto alle ossa disposte in posizione fetale, semplici vasetti di terracotta testimoniavano la pietà e l’affetto dei congiunti e ce li comunicavano attraverso i secoli.

La morte, l’evento più naturale dopo la nascita, rimosso com’è dalla nostra società consumista preoccupata di non impensierire lo shopping, mantiene intatto e inaccessibile il suo mistero, dalle necropoli preistoriche a quelle digitali.

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