Assalto al compound di Mazar-e-Sharif contro il rogo del Corano organizzato in Florida dal reverendo Wayne Sapp il 21 marzo scorso. Due delle vittime sarebbero state decapitate dai manifestanti. Ban Ki-Moon: "Atto rivoltante"
Da Kabul – Massima allerta per tutto il personale della Missione dell’Onu in Afghanistan (Unama). E’ questa la conseguenza immediata dell’assalto subito oggi dal compound Onu di Mazar-e-Sharif, nel nord dell’Afghanistan, costato la vita a dodici persone, tra operatori dell’Onu, guardie del compound e quattro manifestanti. Due delle vittime sarebbero state decapitate dai manifestanti. L’assalto è scoppiato poco dopo la preghiera musulmana del venerdì, al culmine di una manifestazione dai toni molto accesi e con il rituale rogo della bandiera americana. Da quanto hanno riferito funzionari della polizia afgana, un gruppo tra gli oltre duemila manifestanti sarebbe riuscito a disarmare le guardie e ad assalire l’edificio che ospita gli uffici dell’Unama a Mazar-e-Sharif. A Mazar-e-Sarif, però, c’erano già state altre manifestazioni nei giorni scorsi, nessuna con un livello tanto alto di violenza comunque. Le manifestazioni erano iniziate dopo la pubblicazione in Afghanistan delle foto del settimanale tedesco Der Spiegel che ritraevano il rogo del Corano organizzato in Florida dal pastore Wayne Sapp lo scorso 21 marzo. Il pastore Sapp, appoggiato dal famigerato reverendo Terry Jones, aveva inscenato un «processo» al termine del quale il Corano era stato «condannato» per crimini contro l’umanità.
Una manifestazione è stata organizzata anche a Kabul, ma di tutt’altro spessore: non più di duecento persone hanno gridato slogan contro gli Stati Uniti e bruciato anche qui una bandiera a stelle e strisce, il tutto però sotto la vigilanza della polizia afgana e ben distanti dall’ambasciata statunitense. Nel resto della città è stato un venerdì come tanti altri, con le famigliole a fare il pic-nic del giorno di festa settimanale nei giardini di Babur e i giovani a giocare a cricket davanti alle macerie del vecchio palazzo reale, distrutto durante la guerra civile seguita al ritiro dei sovietici.
«Siamo ovviamente molto colpiti – dice un funzionario di Unama, Arnault Serra Horguellin – Avevamo previsto una missione a Mazar nei prossimi giorni, ma per il momento l’abbiamo sospesa. Aspettiamo di vedere come evolve la situazione, prima di decidere se aumentare in modo permanente le misure di sicurezza per il nostro personale o se non sia addirittura il caso di decidere un parziale ritiro dalla zona di Mazar». Per valutare di persona la situazione, è arrivato a Mazar-e-Sharif, appena poche ore dopo i tumulti, il capo di Unama, Staffan De Mistura. Immediata la condanna del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon, che ha parlato di «atto rivoltante e vile contro il personale dell’Onu».
L’attacco di venerdì è tanto più sorprendente perché Mazar-e-Sharif è considerata una delle zone più sicure dell’Afghanistan, tanto da essere inserita nella lista di aree (quattro città e tre province) da cui a partire da luglio inizierà la famosa Transition strategy, ovvero il passaggio di responsabilità per la sicurezza alle forze di polizia e all’esercito afgano, con le truppe internazionali confinate a un ruolo di supporto e appoggio. L’impressione è che l’assalto di venerdì sia stato organizzato anche per questo: un messaggio al governo del presidente Hamid Karzai e alle forze internazionali. Per dire che in Afghanistan non ci sono aree che possano essere considerate sicure.
di Enzo Mangini da Kabul (in collaborazione con Lettera 22 http://www.lettera22.it/)