Ore 11.36 minuti di mercoledì 30 marzo. Il mio telefono segnala un nuovo messaggio, che dice : “Da oggi noi assistenti educativi culturali non possiamo più mangiare a scuola neanche portandoci il pranzo. Cosa dico a Diletta quando la porto a tavola?”. Leggo e rileggo. E penso: ma che dice l’Aec di Diletta? Decido di chiamare, ma non faccio in tempo. Sono già dentro il municipio per uno dei miei soliti impegni giornalieri (quelli che di fatto mi rendono dipendente ad interim della pubblica amministrazione. Dipendente a tempo indeterminato, ma a costo zero. Non mi pagano, ma garantiscono che neanche altri datori di lavoro possano farlo perché mi impegnano quotidianamente!). Cambio corridoio e chiedo meglio. Le prime conferme.
Cambio municipio e vado in un altro. E inizio a voler capire chi è lo scienziato che durante una notte insonne, per una cena indigesta, ha deciso di mettere a dieta gli Aec e non se stesso. Leggo un foglio di sottecchi che viene sfilato e velocemente allontanato dalle mie mani. E’ una circolare della metà di marzo: dice che, poiché gli Aec sono dipendenti di cooperative e i loro rapporti di lavoro sono regolati dalle singole norme contrattuali, non possono usufruire del pasto gratuito. Fin qui ho anche pensato ci fosse qualcosa di sensato. In fondo perché il comune dovrebbe pagare il pasto a personale pagato da una cooperativa ?
Sorge il tipico, lapalissiano paradosso all’italiana: non possono essere introdotti pasti all’interno della scuola. L’Aec non può allontanarsi dall’alunno ove questo necessiti dell’assistenza al pasto. Di solito, se necessita dell’assistenza al pasto, necessita anche della presenza dell’Aec nelle ore precedenti e successive. Diciamo quindi che non può uscire dalle 12 alle 14 circa. Bene, può pranzare alle 11 o alle 15. Sarà un po’ equiparato a un lattante o rischierà l’abbuffata, ma ci posso ancora stare.
Ciò che mi sconcerta è invece l’aspetto riabilitativo. Per gli alunni (tutti) la mensa è (se preferite, dovrebbe essere) un momento educativo (alimentare, didattico, di relazione, di regola, di rispetto civile ecc). Per l’alunno disabile, specie nella pluridisabilità, spesso si prevede l’ingresso a mensa poco prima o molto dopo l’ingresso generale . Ciò tende a temperare l’impatto con la confusione che può causare momento di stress su certi disturbi legati a talune patologie. Il pasto consumato con l’Aec porta stimolo all’autonomia, scambio alla pari, psicologicamente si va insieme a mangiare non si riceve il pasto attraverso la manovra tecnica dell’ assistente che imbocca.
Parliamo di 3 euro a pasto. Le cooperative in tempo reale hanno detto che sono disponibili a pagare. E ove questo è stato fatto (telefonicamente, per ora) è stato risposto che prima si deve attivare la convenzione/procedura/burocrazia. E intanto? E intanto a mia figlia ho fatto dire che l’Aec è a dieta. Per non mortificarla nel ricevere il pasto come si fa quando si porge la ciotola al nostro amato fido.
Poi ho fatto due conti e mi sono chiesta : i poteri internazionali sfoderano cene e banchetti da sogno a costi da superenalotto per decidere come cambiare le regole del mondo. Questi pesanti 3 euro per ogni Aec non potevano essere gestiti diversamente con soluzioni più umane? Si poteva ad esempio comunicare alle cooperative di dover provvedere entro i canonici 30 giorni a stipulare apposita convenzione, si potevano stampare dei buoni mensa e metterli a disposizione degli Aec. Però, poi, ho riflettuto e ho capito : così facendo saremmo stati cittadini europei. Noi invece siamo “solo” italiani.
Vi prometto, se avrete voglia e piacere di seguire questa avventura, che vi terrò aggiornati. Nella speranza di poter dire qualcosa di più civile. Intanto un dato è certo: avremo gli Aec più magri, pronti per l’estate !