Salve a tutti, come prima cosa mi presento, mi chiamo Caterina Cavina, ho 38 anni e vivo in un paesino sperduto nella Bassa emiliana, in provincia di Bologna, e sono scrittrice, giornalista e ufficio stampa, ma soprattutto sono “malata”. Mi sono presa una bronchite tostissima e da dieci giorni vivo reclusa in casa. So già che l’argomento vi stimola particolarmente. Ma un po’ dovrebbe. Perché vivo senza televisione. E ho parenti latitanti. Il giornalaio è lontano, sperduto nella palude. Come unico mezzo di comunicazione ho il web. Strumento che uso particolarmente perché comunque lavoro da casa (che orrida invenzione la rete). Quindi sino a che non finirò con antibiotici e broncodilatatori il mondo lo vedo attraverso le homepage dei giornali, i blogger e, soprattutto, gli amici di Facebook. Insomma, come la maggioranza della gente fa.
Perché non ho la Tv? Me ne sono dimenticata. Nel senso che piano piano, senza accorgermene, ho smesso di guardarla. Non mi sono nemmeno accorta che si passava al digitale terrestre. Poi una mattina in corriera verso Bologna sento un signore che si lamenta: “Non si prende più il Tg regionale, vediamo quello del Veneto, ma cosa ce ne frega di Rovigo?”. Al bar: “Non si può andare avanti così, ieri sera un intero servizio su Porto Tolle… ma chi se ne fotte! Fosse stato Casalborsetti… Ferrara, ma Porto Tolle… no”. Non riuscivo a capire tutto ‘sto accanimento contro il Veneto, poi ho ricevuto un messaggio da un mio parente anziano: “Tu che sei giornalista e sai tutto, come mai nelle tabaccherie vendono le bandierine tricolore visto che non ci sono i mondiali?”. Ecco.
So che a mia insaputa c’è stata anche una riunione di condominio per chiamare l’antennista, ho pagato la mia parte, e ora la vecchietta che abita sopra di me dorme sonni tranquilli perché sa cosa succede a Piacenza.
Dicevamo, la Rete. Ho seguito, tra un mal di testa e un attacco di tosse, sommariamente le varie notizie. Soprattutto Ruby al ballo delle debuttanti a Vienna. Sono contenta che le giovani imprenditrici di se stesse vengano finalmente riconosciute e debuttino con dei veri cavalieri.
Ogni tanto mi chiamava qualche amico e sentivo vagamente i rumori della Tv. E io: “Ma che c’è ancora l’Isola dei Famosi?”. E lui: “Certo, la guardo sempre… così almeno vedo un po’ di gnocca”.
La parola streaming per me assomiglia, non so per quale motivo, a una pratica sadomaso, quindi, lo ammetto, sono veramente aggiornata grazie a un forum che frequento, su Fb. La tragedia, parola riduttiva, in Giappone, l’ho appresa da lì. E ho visto accadere una cosa che già conoscevo, ma mai così frenetica. Come gli accadimenti diventino vecchi e lontani in un battibaleno. Nel forum di cui sopra certo, ci sono messaggi preoccupati e accorati per quello che è successo, ma vengono subito seguiti da altri messaggi che hanno molti ma molti più commenti. “Se un uomo ti dice che gli sei servita a ‘risanare’ una crisi che durava da anni e che quindi ha deciso di tatuarsi il nome di sua moglie sul braccio…. è affetto da un qualche disturbo psichico o è stronzo e basta?”. La seconda che hai detto. “Vorrei capire perché gli uomini danno così poca importanza al bacio impegnandosi anche poco; lo fanno perché devono mantenere una certa reputazione da duri che si sono creati nei secoli o veramente la loro conformazione cerebrale non contempla certe sottigliezze che mandano in delirio i neuroni femminili?”. E ancora: “Voi come vi comportereste sapendo che il marito di una vostra cara amica la tradisce, specificatamente nel caso che anche lui è amico vostro e che lei viene spesso a sfogarsi sulla vostra spalla, perché soffre e ha qualche dubbio a riguardo?”. E non è una pagina frequentata solo da donne. Si parla di tutto. Dell’Inter, di quel prefetto che si è auto annullato una multa, di Yara e le sette sataniche, di problemi di identità politica e personale. E il Giappone diventa sempre più sfumato, lontano. Come se fosse accaduto tutto nella casetta di Lisa Simpson, scrive un internauta.
Poi c’è il post che riceve più commenti di tutti. “Ventitré anni fa moriva John Holmes”. Cavolo… era il mio.