La disperazione in aula di chi si fidò di quello che allora era il gotha rosso dell'imprenditoria. Un crac da un miliardo di euro di una di quelle che fu nel campo dell'edilizia tra le prime aziende d'Italia
Il 2003 per loro fu l’anno del baratro. Operai che vivevano a “pane e cooperazione”, che avevano depositato tutti i loro risparmi in piazza Mazzini ad Argenta, sede della Coopcostruttori. Quel 2003 segnò il pauroso crac da oltre un miliardo di euro di quella che fino ad allora era una delle prime aziende in Italia nel campo dell’edilizia. Appalti in tutta Italia, duemila dipendenti, amministratori cresciuti sui banchi di scuola insieme a coloro che ci lavoravano dentro.
È una danza macabra quella che scorre davanti al giudice Caruso. Nel tribunale di Ferrara si sta tenendo il processo alla “mitica” Coopcostruttori. Un processo per associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta che vede alla sbarra il gotha imprenditoriale rosso della Ferrara anni ’90. Su tutti l’ex presidente Giovanni Donigaglia e il suo vice Renzo Ricci Maccarini.
Sfilano uno dopo l’altro gli ex dipendenti, gli ex soci, gli ex illusi che avevano creduto nel sogno cooperativo. Perché “ci avevano detto che era più sicura di una banca”, che “la Coopcostruttori non sarebbe mai potuta fallire”, e che “comunque dietro c’era la Lega e anche il partito”.
Già, il partito. A Ferrara come ad Argenta comandava il filo rosso che dal Pci arrivò ai Ds. E in aula come teste arriva anche un cronista del “Carlino”, Stefano Lolli. Sua un’intervista a Donigaglia datata agosto 2007. In quelle righe Donigaglia confidò di aver dato – tutti in regola – un sacco di soldi al partito. Tanti che c’è chi dice che se il partito di allora li avesse rimborsati forse la Coopcostruttori si sarebbe salvata.
Dettaglio non di poco conto, visto che negli anni le migliaia di creditori si sono viste rassicurare sulle restituzioni da nomi del calibro di D’Alema e Bersani, arrivati personalmente in terra emiliana.
Ma quei rimborsi arrivarono a tranche. E solo per alcuni di essi. Quelli che si rifiutarono di portare in giudizio i vertici argentani. Tanto è vero che chi ha deposto oggi è concorde nel sostenere che “chi si è costituito parte civile ha visto interrompersi la erogazione dei rimborsi da parte di Legacoop”.
E si parla di cifre di tutto rispetto. Anzi, dei risparmi di una vita. C’è chi vi ha investito i 10mila euro per veder sposare la figlia, chi tutto quanto la sua famiglia aveva in banca (366mila), chi addirittura i soldi dell’assicurazione arrivati dopo la morte di un congiunto. È il caso della famiglia Cavalieri D’Oro. In un incidente stradale nel ’91 perde la vita un ragazzo di 22 anni. La sua famiglia verrà risarcita con cifre considerevoli. “Ci proposero di depositarli presso Coopcostruttori; ci avrebbero corrisposto un interesse maggiore rispetto a quello praticato dalle banche”. Quei soldi vennero ingoiati nel baratro del fallimento.
Eppure la gente si fidava. Tanto che uno degli investitori in Apc, Valentino Piazzi, non ha remore a dire che “anche se avessi saputo che la cooperativa era in difficoltà, io avrei sentito l’obbligo morale di lasciare lì i miei soldi. E ora mi vergogno”. Mentre termina la sua deposizione ed esce dall’aula per sfogare il suo pianto, di rabbia (che non dovrebbe provare lui) o di vergogna, all’avvocato di parte civile che lo rappresenta al processo, Claudio Maruzzi, non rimane che commentare come “abbiamo sentito in aula il colossale tradimento dell’ideale cooperativo, che ha segnato nell’anima intere generazioni”.