Tutti insieme in un’aula. Quando chiedo “Che cosa è per voi la mafia?” un paio di loro, intimiditi forse dal mio tono o dalla paura di essere giudicati dai loro compagni, mi rispondono: “Lo Stato!”. Il loro nichilismo mi ha spinto a trovare una ragione alla risposta istintiva. Ho provato a replicare partendo dalla loro stessa semplificazione.

Quali sono i cardini su cui si è basata la costruzione dello Stato moderno? Tre pilastri: il monopolio della violenza, l’amministrazione della giustizia e l’esazione fiscale. Pensandoci bene sono gli stessi principi su cui si fonda il potere delle mafie: organizzano eserciti territoriali, giudicano sommariamente decretando la vita o la morte di affiliati e cittadini innocenti, impongono il pizzo come prelievo fiscale.

Le mafie imitano lo Stato. Per questo si è spesso parlato di Stato e Antistato. Ovvero due poteri simmetrici collocati in dimensioni diverse. L’uno di fronte all’altro sembrano fronteggiarsi per contendere il dominio territoriale, economico, sociale, civile e culturale in alcune aree geografiche del Paese. In alcuni casi i due soggetti si toccano e i confini si confondono dando origine a quelle che si definiscono zone grigie.

Se pensiamo alla storia unitaria, inevitabilmente il pensiero corre agli episodi in cui lo Stato si è servito delle mafie per costruire e rafforzare il suo dominio. Dai picciotti e camorristi di Garibaldi ai mafiosi degli angloamericani, dai banditi della Democrazia Cristiana alla rivolta eversiva di Reggio Calabria, fino ad arrivare ai colletti bianchi ovunque collocati nello schieramento politico parlamentare.

Se dovessi scrivere la sceneggiatura di un thriller hollywoodiano rappresenterei le mafie come quelle agenzie governative a cui è stato consentito di ignorare impunemente le regole civili pur di “spicciare” le faccende sporche che uno Stato democratico non può affrontare senza ledere diritti universalmente riconosciuti. Ma ad un certo punto, come in tutti i film degni di nota, ci sarebbe il colpo di scena: alcuni membri dell’agenzia super segreta decidono che è arrivato il momento di fare da soli ed approfittano della loro impunità per coltivare i loro affari in combutta con alcuni degli uomini dello Stato delegati ad avere rapporti con questi “enti collaterali”.

Ad un certo punto la “cricca”, resasi conto della sua piena intangibilità, tenta il salto di qualità: assumere definitivamente le redini dello Stato. Ma sulla loro strada trovano, inaspettatamente, degli ostacoli: uomini giusti la cui unica missione è assolvere al loro dovere di servitori dello Stato. Semplici dipendenti pubblici che hanno vinto un concorso giurando fedeltà alla Repubblica. Inevitabilmente gli ostacoli vengono eliminati ma nel frattempo altri dipendenti fedeli alla Repubblica hanno preso il loro posto ed accanto a loro si sono schierati tutti quei cittadini che, grazie all’esempio degli uomini giusti, hanno scelto di stare dalla parte dello Stato.

A questo punto uno dei ragazzi mi ha interrotto dicendo: “Ma quegli uomini giusti di cui parli sono Falcone e Borsellino e le loro scorte?”. Ho risposto con un sorriso di assenso e abbiamo continuato la discussione.

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