E' la soluzione choc al problema della scarsità idrica: riciclare le acque di scarico, incluse quelle dei gabinetti, trasformandole in acqua potabile. “Toilets to tap” è il nome di un’idea che può sembrare rivoltante, ma che è già stata accettata da buona parte dei quasi cinque milioni di abitanti dell’isola
La rivoluzionaria tecnologia, concepita nei primi anni ’70 ma messa a punto in meno di un decennio nel piccolo Paese del sud-est asiatico, fornisce ai suoi cittadini acqua trattata, pura “quasi come l’acqua distillata”. Il recupero di liquami ed acque di scolo è in vigore da tempo nella Repubblica di Singapore, soprattutto in agricoltura e per scopi industriali. Ora, invece, in quantità sempre maggiori viene immessa nella rete idrica per tornare a sgorgare, limpida, dai rubinetti delle case. Nonostante il non proprio gradevole nome di questo sistema, “dal WC al rubinetto”, solo il 10% delle acque reflue di una famiglia provengono dalla toilette. Il grosso arriva dalle docce, dai lavandini e dalle lavatrici. Ma in cosa consiste questo rivoluzionario ciclo dell’acqua? In realtà si tratta di un processo lungo e articolato, con filtri biochimici che, prima di restituire l’acqua alle abitazioni, la fanno transitare nei bacini naturali, all’aria aperta.
Dagli scarichi delle case, l’acqua finisce dapprima in una centrale di trattamento, un impianto di depurazione in cui vengono rimosse particelle solide e batteri. Il passo successivo porta l’acqua ad essere prima micro-filtrata, poi iper-filtrata attraverso un processo chiamato “osmosi inversa”, durante il quale la si pressa attraverso una membrana semi-permeabile, rimuovendo sali, virus e sostanze chimiche. Poi, in via precauzionale, l’acqua viene esposta ad alte intensità di raggi ultravioletti e perossido di idrogeno (acqua ossigenata), così da distruggere ogni traccia organica residua. In seguito, vi si aggiungono dei minerali, prima di scaricarla nel terreno o in laghi sia artificiali che naturali. Alcuni mesi dopo, e spesso dopo avere subito altri trattamenti che le facciano rispettare gli standard locali di qualità, l’acqua torna a zampillare nelle case da cui è arrivata.
La Repubblica di Singapore ha già fornito circa venti milioni di bottiglie della sua NEWater, durante eventi pubblici e sportivi, ed ha già portato più di 800 mila visitatori presso le sue dimostrazioni di depurazione dell’acqua. In questo modo si è imposta a livello globale come punta di lancia della water research, ed ha attirato la presenza di importanti compagnie del settore come Siemens Water Technologies. “La ragione per cui a Singapore si è avanzati così velocemente è una questione di sicurezza pubblica”, afferma Glen Daigger, vice-presidente della CH2M Hill, ditta americana che ha progettato tre degli impianti di trattamento NEWater. Una questione di non poco conto, visto quanto succede in Giappone in questi giorni con gli alti tassi di radioattività riscontrati nelle acque di Tokyo, o considerando che in Italia, come ha recentemente reso noto l’Istat, si spreca fino al 47% dell’acqua potabile.
“L’acqua sarà il petrolio del 21º secolo”, scommette Bill Cooper, direttore dello Urban Water Research Center presso la University of California-Irvine. Un’opinione largamente condivisa a Singapore, ricco centro finanziario che vanta la seconda maggiore densità di popolazione al mondo. Un Paese piccolo, ma dalla grande intraprendenza. Nel quale la scelta di riciclare le acque di scarico è stata tanto audace quanto necessaria. Stando ai dati dell’Unicef e dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono circa novecento milioni le persone che, al mondo, non hanno accesso all’acqua potabile. Questa tecnologia, nel momento in cui raggiungerà nel mondo una maggiore accettazione pubblica, potrebbe risolvere molti dei potenziali conflitti che l’accaparramento “dell’oro blu” potrà causare nei prossimi decenni. Riciclare risorse strategiche: decisivo “cambio di paradigma” sul quale, dopo Fukushima, il mondo ormai riflette sempre più seriamente.