Già da subito dopo l’entrata in vigore della legge 240/10 (“riforma” Gelmini dell’università) si è assistito ad una sequenza di “problemi tecnici”… Di fatto la legge, oltre ad avere uno spirito politicamente vuoto avvolto in una marea di slogan da propaganda, è piena di errori e difetti giuridico-strutturali che da subito hanno iniziato a far sentire i loro effetti. L’ultima, ennesima dimostrazione la dà il parere del Consiglio di Stato (CdS) sul regolamento per le abilitazioni, uno dei nuclei centrali di riforma sbandierati come la panacea contro corruzione nepotismo e malcostumi.

La legge 240/2010 prevede infatti che per l’ingresso nei ruoli docente dell’università si superino due passaggi: il conseguimento di un’abilitazione nazionale; una procedura di chiamata locale. Sulla prima fase il previsto regolamento è stato emanato ed inviato al CdS per il dovuto parere. Ebbene, il CdS legge, analizza e formula il suo verdetto di inadeguatezza rimandando il regolamento al Ministero per serie mancanze ed approssimazioni.

Di cosa si tratta ? Essenzialmente di rilievi raggruppabili in due tipologie di difetto, che permeano i nove articoli del regolamento: difetti di impostazione nella procedura; mancanze giuridiche fino alla possibile incompatibilità con l’art. 33 della Costituzione. Chi volesse puo leggere il documento intero, in queste righe mi limiterò ad analizzare due aspetti: la natura centralistica del regolamento che di fatto ignora il ruolo fondamentale di organi di espressione democratica come il Consiglio Universitario nazionale (Cun); la mancanza di trasparenza dei vari meccanismi che sottendono il regolamento.

Relativamente al primo punto, emblematica è la scelta e l’indirizzo della composizione e delle modalità di lavoro delle commissioni, un punto critico in cui si gioca l’effettiva capacità di incidere positivamente sulle cattive prassi di controllo dei concorsi, ma anche di controllare gli accessi e le carriere nell’università.

Ora, a tale riguardo il regolamento fa riferimento a criteri e parametri “definiti con decreto del ministro… avente natura non regolamentare”, del quale non si specifica nient’altro. Si chiarisce invece che al Ministero spetteranno l’individuazione delle sedi in cui ospitare i lavori della commissione, al Ministero la verifica quinquennale di questi “criteri e parametri”, al Ministero le modalità di composizione delle commissioni con una selezione dei commissari in funzione dei criteri adottati per la scelta dei candidati. In altri termini, il Ministero decide che parametri deve soddisfare un candidato per essere abilitato e sulla base di questi compone le commissioni. Più chiaro di così…

Si ha la netta sensazione che con il discorso della ricerca di meritocrazia ancora una volta si gettino i presupposti per il controllo politico sull’università. Non a caso per questo “decreto non regolamentare” il CdS solleva dubbi di incostituzionalità per incompatibilità con l’art. 33 della Costituzione.

La commissione deve essere libera espressione delle comunità scientifiche, pena il rischio di condizionamenti sull’operato dei commissari, che, va ricordato, avranno la responsabilità-possibilità di conferire o meno l’abilitazione – di fatto un fulcro nazionale che controlla l’intero assetto universitario: un punto non da poco su cui meditare.

L’altro punto è la trasparenza; ebbene, quanto previsto dal regolamento di fatto non assolve al diritto di ciascun partecipante all’esame di abilitazione di conoscere chi siano e quali titoli vantino gli altri candidati, oppure il tenore dei pareri espressi sulla propria attività scientifica e didattica. Un’anagrafe scientifica pubblica degli abilitati sarebbe una conquista impossibile per l’università del nostro paese?

Si potrebbe concludere con la meraviglia per una tale inavvedutezza in formulazione di regolamenti, ma sarebbe naïf… Cosa ci si poteva aspettare da una ministro e da un’improbabile riforma approvata anche grazie ai pasticci della maggioranza?

Riflettiamo invece sulle gravissime conseguenze sull’università italiana, che in prossimità di sempre crescenti pensionamenti si trova impossibilitata ad attuare un rinnovamento del corpo docente, ancora una volta rallentato da una riforma che di epocale ha solo l’inconcludenza e l’approssimazione… Incapacità o disegno?

di Alessandro Pezzella, Rete29Aprile

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