Cercasi amuleto per il Palermo calcio. E per il suo vulcanico presidente divora-allenatori, Maurizio Zamparini. Come se non bastasse la profonda crisi di risultati in cui è piombata la squadra, è fresca di stampa e notifica la sentenza con cui la Cassazione dichiara possibile il sequestro di quasi 25 milioni di euro di azioni della società calcistica guidata dall’imprenditore friulano della grande distribuzione.
Nel dettaglio, la II sezione penale della Suprema Corte (presidente Franco Flandanese) ha accolto il ricorso del sostituto procuratore di Benevento, Antonio Clemente, che indaga su una serie di presunte truffe e corruzioni che Zamparini e i suoi collaboratori avrebbero compiuto per costruire ed aprire il centro commerciale ‘I Sanniti’ nella periferia beneventana, violando – secondo l’accusa – gli impegni assunti con l’amministrazione comunale, e promettendo a politici e funzionari locali l’assunzione clientelare di persone da loro indicate. Nell’ambito di un’inchiesta più volte finita agli onori della cronaca, il pm ha chiesto il sequestro dell’immobile, valutato da una perizia 17 milioni e mezzo di euro, nonché di 24.975.000 euro in azioni del Palermo di proprietà di Zamparini, e di circa 880.000 euro in azioni in una delle aziende di famiglia, la Gasda spa. Beni ritenuti equivalenti all’ingiusto profitto che Zamparini avrebbe realizzato attraverso i reati che gli vengono contestati.
La decisione della Cassazione arriva dopo una serie di provvedimenti tutti sfavorevoli alla Procura. Che si era vista respingere, in sequenza, dieci misure cautelari sia dal Gip di Benevento che dal Riesame di Napoli (tra cui gli arresti domiciliari per Zamparini), e una richiesta di sequestro preventivo di alcune proprietà del presidente del Palermo, anch’essa bocciata due volte, dal Gip e dal Riesame del tribunale sannita. Ma la Cassazione, attraverso cinque pagine di motivazioni redatte dal giudice estensore Domenico Gallo, ha ribaltato i pronunciamenti di rigetto relativi alla richiesta di sequestro. Entrambi fondati sull’insussistenza del reato di truffa, in assenza di un danno patrimoniale per il Comune di Benevento. Danno che secondo la Suprema Corte, invece potrebbe esistere. E che il pm ha correttamente indicato nei capi di imputazione. In particolare: il Comune di Benevento avrebbe speso somme non dovute per le spese legali necessarie per le cause al Tar “per ottenere la condanna della ditta Zamparini all’esecuzione degli obblighi non adempiuti”; il Comune non ha ricevuto l’area di 21.330 mq che Zamparini si era impegnato a cedere (“risultava di una estensione di gran lunga inferiore”). Altre aree che il presidente del Palermo aveva promesso all’ente pubblico, erano state invece vendute a due società di leasing.
Nell’inchiesta sono indagati per corruzione anche i coniugi Clemente Mastella e Sandra Lonardo. Zamparini avrebbe acquistato il loro ‘consenso politico’ alla realizzazione del centro commerciale, attraverso i buoni uffici di un assessore di fede udeurrina, tramite un bonifico di 50.000 euro all’associazione culturale ‘Iside Nova’ presieduta da Lady Mastella. Per i Mastella il pm non ha però chiesto misure cautelari.
Ora la parola passa di nuovo al Riesame di Benevento. Chiamato a valutare, come scrive la Suprema Corte, “se i beni di cui viene richiesto il sequestro costituiscano cose pertinenti al reato, ovvero costituiscano prezzo o profitto del reato”.