Cronaca

Casalesi, sotto sequestro l’azienda che piaceva a Urso

Si tratta della Tpa srl, impresa specializzata in rifiuti. Il provvedimento è stato spiccato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Per molto tempo il suo modello è stato esportato all'estero come esempio di sviluppo

Riceviamo e pubblichiamo la smentita dell’onorevole Adolfo Urso in merito all’articolo qui sotto:

Carissimi, in riferimento al vostro pezzo dal titolo “Casalesi, sotto sequestro l’azienda padovana che tanto piaceva all’ex ministro Urso” si trasmette qui di seguito ufficiale smentita delle informazioni in esso riportate con preghiera di darne opportuna visibilità.

SMENTITA UFFICIO STAMPA ON. ADOLFO URSO: “Sono destituite da ogni fondamento le informazioni contenute nel pezzo “Casalesi, sotto sequestro l’azienda padovana che tanto piaceva all’ex ministro Urso”. L’on.Urso nega in maniera assoluta di conoscere l’azienda in questione che, differentemente da quanto riportato e come risulta dagli atti del ministero dello Sviluppo Economico, ha partecipato solo alla missione di sistema in Turchia effettuata nel 2005 e guidata dall’allora presidente Ciampi, dal ministro Scajola e dal presidente della confindustria Montezemolo. L’azienda in oggetto, peraltro, ha aderito alla missione attraverso una adesione elettronica effettuata per mezzo di un sito ufficiale condiviso da Ice, Abi e Confindstria. A quella missione partecipò anche l’on.Urso in qualità di viceministro, pur non avendone la responsabilita. Differentemente da quanto riportato nel pezzo del Fatto quotidiano non risulta dagli elenchi del Ministero che l’azienda abbia partecipato alle missioni guidate dall’on.Urso in Cile e negli Emirati ne in altri paesi. “In ogni caso – afferma l’on.Urso – non potrebbe essere certo stata portata da me ad esempio per il semblice fatto che non la conosco”.

L’articolo de ilfattoquotidiano.it

E’ stata una tra le aziende portate sempre in palmo di mano dal finiano Adolfo Urso, quando questi era vice ministro al commercio estero del IV governo Berlusconi. La Tpa Srl di Santa Giustina in Colle, della stessa provincia di Urso ovvero Padova, rappresentava allora un vanto per l’industria del rifiuto italiano. Tanto da accompagnare il rappresentante del Governo in almeno tre missioni estere: Cile, Turchia ed Emirati Arabi, come esempio di modello di sviluppo e di fantasia imprenditoriale all’italiana. Oggi quell’azienda è sospettata di un reato molto grave: aver riciclato i soldi della camorra, ottenendo con quelli la possibilità di spiccare il volo e di scalare posizioni nel mercato estero e nazionale.

Gli agenti del centro operativo di Napoli con i colleghi della distrettuale antimafia di Padova hanno effettuato infatti un sequestro di beni nel capoluogo patavino ai danni di Franco Caccaro, 49 anni, padovano, presidente di Tpa – Tecnologia per l’ambiente srl. Il provvedimento è stato spiccato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed è partito da un avvocato, Cipriano Chianese, 57 anni, del casertano, al quale la magistratura ha bloccato ben 13 milioni di euro in capitali investiti. Soldi che il professionista, titolare di imprese attive nello smaltimento dei rifiuti ed attualmente a giudizio con l’accusa di associazione mafiosa, avrebbe ricevuto dal clan un tempo retto da Francesco Schiavone detto “Sandokan”.

Secondo l’accusa Chianese era la vera figura che al nord Italia stava dietro una serie di beni e società formalmente intestate a Franco Caccaro. Come la Tpa, azienda leader nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti ma che improvvisamente, senza una reale ragione economica, attorno al 2005 ha sviluppato di molto la sua attività. Non per propri meriti, dicono i magistrati, ma per l’ingresso di ingenti capitali sporchi. Tra cui i tre milioni di euro che secondo i pm napoletani arriverebbero da due assegni intestati alla Resit, la storica azienda di Chianese, che Caccaro ha giustificato come crediti personali, dovuti a lui stesso. L’accusa, però, sostiene che di quella somma vantata l’imprenditore padovano non abbia le prove.

E così il calcio giocato su fondo artificiale può aver involontariamente aiutato la camorra. La Tpa di Caccaro, infatti, è titolare di un brevetto per la triturazione delle gomme per auto, per il conseguente reimpiego dei granuli così ottenuti sul fondo dove vanno installati i fili d’erba in plastica. Dopo l’ok della Fifa ai campi sintetici quello divenne uno dei business del futuro.

E fu anche sulla scorta di progetti innovativi come questo, che l’allora vice-ministro Urso – naturalmente estraneo alla vicenda di oggi – portò con sé nel 2004 la Tpa in una missione in Turchia. Paese nel quale oggi l’azienda protagonista del provvedimento giudiziario, ha una propria sede operativa. Come pure in Francia, Brasile, in Australia e negli Stati Uniti, dove può vantare un ufficio in Wall Street, la strada della finanza a New York. A Caccaro è stato inoltre sequestrato un grande capannone industriale situato a Santa Giustina in Colle, nel padovano, sempre intestato alla Tpa.

La società di Caccaro ha oltre 200 dipendenti e sedi operative a New York,  in Turchia, Australia, Francia e Brasile. In base alle dichiarazioni di diversi pentiti era già emerso che Chianese stesse cercando di creare società operanti nel settore dei rifiuti nel nord dell’Italia. La posizione dell’imprenditore padovano s’è aggravata perché non sia riuscito a giustificare il flusso di denaro che gli ha consentito l’estromissione dei vecchi soci dalle sue società e alcuni aumenti di capitale, proprio per importi equivalenti a quelli forniti con gli assegni di Chianese.

Rimane qust’ultimo il vero collegamento con la camorra, che già nel 1993 e nel 2007 aveva ricevuto due ordinanze di custodia cautelare per vicende connesse al traffico dei rifiuti e per la presunta appartenenza al clan di Francesco Schiavone. Fu la sua figura del riciclatore di rifiuti senza scrupoli a ispirare uno dei personaggi del film “Gomorra”. La Resit Srl di Chianese, infatti, portò in Campania scarti tossici ed industriali da mezzo settentrione. È probabile anche dal Veneto, dove si scopre era in affari con Caccaro.

Fu proprio quest’ultimo a fare un’offerta all’amministratore giudiziario dei beni di Chianese – sotto sequestro e poi confiscati a causa delle sue vicende giudiziarie – per l’acquisto di due Ferrari: una 360 spider e una “Enzo Ferrari”, dal valore di un milione di euro circa. Ma anche dietro questa transizione c’era l’inghippo. Secondo gli inquirenti il tentativo di acquisto delle due fuoriserie aveva lo scopo di farle riavere a Chianese.