La Gran Bretagna è stata in passato, per una lunga serie di motivi storici, economici e sociali uno dei Paesi industrializzati meno avanzati dal punto di vista ecologico. Nonostante ciò, come altrove nel nord Europa, risparmio energetico e fonti rinnovabili sono state messe al centro di un ampio programma di incentivi partito due anni fa. Ma soprattutto hanno ricevuto una spinta fortissima da uno dei principali mercati inglesi: quello della finanza.

Non lo stesso si può dire dell’Italia, rimasta a cullarsi sugli allori. Non dobbiamo dimenticare le grandi lezioni che vengono della Olivetti per quanto riguarda la parte più prettamente sociale, ma anche dalle realtà odierne come le cartiere Pigna, che hanno intrapreso una strada di efficienza energetica e sostenibilità, come sta a certificare il prestigioso marchio ISO 14001. Non va neanche taciuto il vantaggio tutto italiano fornito dalle materie prime e dalla ricchezza di risorse quali vento, sole, correnti marine, potenziale geotermico e idroelettrico. Eppure nonostante tutto questo patrimonio non solo abbiamo deciso di fermarci a 20 anni fa (o dovrei dire al ‘94?!), ma addirittura di spingere un piano sul nucleare scritto da un uomo che non sa chi gli ha comprato casa!

In Gran Bretagna, in generale la società civile è molto sensibile alle tematiche “verdi”, ragion per cui si possono con facilità toccare con mano modelli economici e finanziari di quella che oggi chiamiamo Green Economy. La facilità di “fare impresa” dal punto di vista prettamente  burocratico unita ad una maggiore propensione della finanza ad investire ingenti quantità di denaro su questi business models ha fatto sì che negli anni più recenti, e anche durante una contrazione del mercato che non si vedeva dalla Grande Crisi del 1929, nuovi business siano nati e abbiano raggiunto il successo grazie proprio ad idee che si incentravano sull’economia verde.

Detto questo, non bisogna dimenticare che il governo Cameron ha recentemente creato una situazione di incertezza legislativa riducendo gli incentivi anche fino al 75% su tecnologie come il solare, il che ha letteralmente tagliato le gambe di una industria giovane ma estremamente dinamica.

Ora, questi anni di esperienza nell’economia verde mi hanno però portato ad una forte convinzione di fondo, cioè che la Green Economy non è  un’utopia guidata da intenti ideologici. Al contrario, conviene. Non bisogna essere né hippy né sognatori per pensare di rifondare l’economia sulla base della sostenibilità e delle fonti rinnovabili.

Il mondo infatti va già in questa direzione. Perfino giganti emergenti come Cina e India, nonostante i molti problemi ambientali e sociali, stanno investendo nelle fonti rinnovabili e su un migliore impiego delle risorse primarie. A Dharavi, vicino a Mumbai (India), il tasso di riciclo arriva a punte del 97%! E parliamo di una realtà che non si può dire assolutamente ricco o evoluta dal punto di vista sociale. Il motivo di questo eccezionale risultato è semplice: creazione di valore aggiunto in una nazione con un tasso di sviluppo velocissimo ma con crescente difficoltà di accesso alle risorse, in cui il riciclo ha fornita una concreta possibilità di creare occupazione.

Ecco perché business e sostenibilità non sono soltanto astrattamente legate. In una crescente  parte del pianeta l’economia è già verde, perché le società che investono nel settore possono realizzare grandi profitti, mentre quelle che rimangono legate al consumo energetico tradizionale sono destinate a vedere il loro margine di guadagno ridotto.

Un motivo in più per preferire le fonti rinnovabili al nucleare. In primo luogo perché l’atomo, al contrario di quello che si pensa, ha vita breve davanti a sé – non più di 90 anni, probabilmente. E poi ancora per una ragione strettamente economica. Il nucleare costa tempo e soldi. Lasciamo anche stare che difficilmente potremmo fidarci di una classe politica screditata e inaffidabile come quella italiana, e che il problema delle scorie è così controverso da bastare da solo come deterrente contro la ripresa dei piani nucleari.

Non possiamo aspettare trenta anni per poi vedere magri benefici e scarsi profitti, con perdite e svantaggi pagati dalle tasche dei contribuenti. C’è un mondo da cambiare, e bisogna farlo adesso.

di Nicola Giuggioli, imprenditore italiano nel settore della Green Economy, vive e lavora a Londra.
L’autore sarà presente all’incontro dal titolo
Eco-nomia al verde organizzato dal Circolo Radio Londra di Sinistra Ecologia e Libertà che si tiene oggi alle ore 19 presso la Soas (School of Oriental and African Studies) di Londra.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Dal wc al rubinetto: così a Singapore si ricicla anche l’acqua

next
Articolo Successivo

Vogliamo la differenziata a Napoli!

next